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La storia di Marsha P. Johnson

Ogni anno a giugno vengono commemorati in tutto il mondo i moti di Stonewall, iniziati nella notte del 27 giugno del 1969: quei momenti, quegli scontri fra comunità gay e polizia di New York, segnano idealmente la nascita del moderno movimento di liberazione, che ha scelto il 28 giugno come data per la “giornata mondiale dell’orgoglio LGBT”.
Durante il pride month vengono, quindi, ricordate alcune delle figure più importanti di questo movimento, uomini e donne che hanno messo la propria vita in prima linea diventando vere e proprie icone: una di queste è Marsha P. Johnson.

Marsha P. Johnson nasce come Malcolm Michaels Jr. il 24 agosto del 1945, nella cittadina di Elisabeth in New Jersey.

Infanzia e adolescenza non procedono sempre nella totale serenità: Marsha inizia a vestirsi con abiti femminili all’età di 5 anni e deve affrontare fin dalla giovane età non solo il duro giudizio della madre, ma anche le molestie e le violenze dei ragazzi della città.
Nel 1963, terminata la scuola, si trasferisce a New York con un sacco di vestiti e 15 dollari in tasca: qui si sposta al Greenwich Village e inizia a lavorare come cameriera.

Inizialmente si fa conoscere come “Black Marsha”, ma decide presto di adottare un altro nome, cioè proprio Marsha P. Johnson: il cognome deriva da un ristorante sulla 42a strada, mentre la P. sta per “pay it no mind”, cioè “non pensarci”. Marsha – che si identificava alternativamente come gay, travestito o queen (da drag queen) – utilizza questa frase ogni volta che qualcuno le fa domande riguardo al suo genere, aggiungendo una buona dose di ironia e sarcasmo.

In questi anni, la Johnson comincia a frequentare lo Stonewall Inn, un locale simbolo della zona che inizialmente accoglieva solo uomini gay e che poi, nel corso degli anni ’60, si era aperto a donne e a drag queen. Qui Marsha viene identificata da molti testimoni come una delle tre persone che avrebbero innescato gli scontri con la polizia a partire dalla notte del 27 giugno ’69: la Johnson ha sempre respinto questa ipotesi, dicendo di essere accorsa sul posto a rivolta iniziata, ma è innegabile che il suo contributo sia entrato nella storia.
A quanto pare, infatti, durante il primo giorno di scontri, Marsha avrebbe tirato un bicchiere contro uno degli specchi del locale, gridando “I got my civil rights”, cioè “Io ho i miei diritti civili”: questo episodio è stato ampiamente contestato e spesso modificato, pertanto è difficile a oggi sapere con sicurezza se le cose siano andate in questo modo. Maggiori certezze ci sono, però, su un episodio risalente al secondo giorno di lotta: in questo caso, Marsha sarebbe salita su un lampione e avrebbe colpito una macchina della polizia con una borsa contenente un mattone.

Dopo la rivolta dello Stonewall Inn, nel 1970, Marsha P. Johnson è una delle fondatrici non solo del Gay Liberation Front, ma anche della STAR, un’organizzazione per gay, trans e persone genderqueer che la Johnson apre insieme a Sylvia Rivera, un’altra delle icone del movimento.
Le due insieme diventano una presenza costante di marce, sit-in e azioni di protesta, fino al 1973, quando – per paura di un giudizio negativo sulla manifestazione – le drag queen vengono escluse dalla parata del gay pride. La reazione della Rivera e della Johnson è semplice e chiara: le due si presentano comunque alla parata e si mettono in testa, marciando sole per protesta.

L’attività di Marsha P. Johnson continua negli anni ’70, ’80 e ’90, accompagnata da turbolenze, arresti, udienze in tribunale e dichiarazioni coraggiose. La sua salute mentale è stata più volte oggetto di discussione: alcuni, infatti, sostengono che la Johnson avesse un lato oscuro, una parte violenta che lasciava emergere l’identità maschile di Malcolm e che la spingeva a cercare risse e scontri. Questa convivenza di personalità è stata negli anni identificata come un disturbo schizofrenico, che spiegherebbe il comportamento della comunità gay nei suoi confronti (Marsha venne esclusa dal pride del ’73, ma anche bandita da molti locali) e anche la sua fragilità.

Marsha P. Johnson muore nel luglio del 1992, poco dopo il pride: il suo corpo esanime viene ritrovato nel fiume Hudson e le autorità sostengono fin da subito la tesi del suicidio. I suoi amici, fra cui la Rivera, hanno – però – respinto questa teoria, sottolineando che il corpo della Johnson presentava ferite. Alcuni testimoni riportarono di aver visto Marsha litigare con un gruppo di teppisti pochi giochi prima il ritrovamento del cadavere; un testimone – in particolare – disse di aver sentito un residente della zona vantarsi di aver ucciso una drag queen.
Le indagini sul caso vennero inizialmente abbandonate, per poi essere riprese nel 2012.

Oggi la storia di Marsha viene raccontata da molti testimoni, ma anche da documentari e film: la sua vita, le sue difficoltà, la sua lotta continuano a ispirare i giovani di tutto il mondo e a vivere nelle manifestazioni e nell’attività politica.