Dire che “crediamo” ai fantasmi – proprio così, con la prima persona plurale – potrebbe non essere il modo più giusto di affrontare questo tema. In tanti credono al soprannaturale, questo è vero, ma è vero anche che sono moltissimi quelli che non vogliono saperne niente, gli scettici che non capiscono come si possa perdere tempo con questo genere di fesserie. Spiriti, voci dall’oltretomba, sussurri nella notte, tavole Ouija che si muovono durante le sedute spiritiche… tutte cose che i più razionali fra noi affrontano con una risata e con una scrollata di spalle. C’è poi tutto il mondo di quelli che “io non ci credo, però non si sa mai”. I curiosi senza certezze, gli amanti dell’adrenalina che non sono totalmente convinti della presenza di un qualcosa di soprannaturale, ma che sono aperti alla possibilità e – anzi – si divertirebbero un mondo a scoprire che poi, in fondo in fondo, qualcosa di misterioso esiste. Tralasciando gli studi, gli interessi e le singole esperienze di ciascuno di noi, pare che ci sia una spiegazione molto semplice del perché tendiamo a credere nel soprannaturale e del perché cerchiamo motivazioni più o meno creative per convincerci di aver visto o sentito dei fantasmi. Secondo lo psicologo Christopher French, infatti, alla base di tutto ci sarebbe l’evoluzione del genere umano. Il nostro cervello ci consente di formulare due tipi di pensiero, reattivo e ragionato. Il primo ci permette di decidere sul momento, mentre il secondo si attiva quando abbiamo tempo per considerare pro e contro. Il pensiero reattivo è quello che ci avvicina di più al regno animale, è il pensiero istintivo, il tipo di pensiero che avrebbe fatto fuggire un uomo primitivo di fronte a un fruscio diverso dal solito: perché un uomo primitivo non...
L’Uomo di Taured: un mistero risolto...
Una delle leggende urbane che si sono diffuse maggiormente grazie alla rete è sicuramente quella dell’Uomo di Taured. La storia, piena di intriganti misteri e un tocco di paranormale, ha iniziato però a circolare molto prima dell’avvento di internet, arrivando alla sua “forma finale” grazie a siti e forum dedicati: pare, però, che forse proprio grazie a internet, i nodi siano stati sciolti, arrivando a una spiegazione plausibile di questa intera avventura. Vediamola nel dettaglio! L’Uomo di Taured: la leggenda Secondo il mito, nel luglio del 1954, all’aeroporto Haneda di Tokyo, sarebbe arrivato un gentiluomo dai vestiti eleganti, i tratti caucasici e una folta barba. Passando dalla dogana, al controllo del passaporto, avrebbe dichiarato di essere un abitante di Taured giunto per la terza volta in Giappone. Nessuno degli agenti conosceva quel paese e, pur notando che fra le tante lingue parlate dall’uomo il francese sembrava essere la principale, non c’era alcun indizio per capire con precisione da dove fosse giunto quello strano viaggiatore, nonostante i documenti dall’apparenza valida. I doganieri gli presentarono, allora, un atlante del mondo, chiedendogli di indicare col dito l’ubicazione del suo stato di provenienza: senza dubbi, l’uomo indicò la zona del Principato di Andorra, stupendosi – però – che l’area si chiamasse in quel modo. Sospettato di essere una spia, e sicuramente circondato da un alone di mistero un po’ troppo preoccupante per le autorità, l’uomo venne trattenuto dagli agenti e messo per una notte in un albergo, in attesa di ulteriori verifiche. La stanza – con una sola porta di ingresso/uscita – si trovava al 15° piano ed era piantonata da due guardie che non persero mai di vista la camera: nonostante questo, la mattina dopo gli agenti trovarono la stanza completamente vuota. Bagagli, documenti e qualsiasi genere...
Speciale Halloween: i dodici vortici vili di Ivan Sanderson...
Negli anni ’70, il biologo scozzese Ivan Sanderson ipotizzò una teoria che ancora oggi è molto popolare e diffusa soprattutto fra gli amanti del mistero: si tratta della teoria dei Dodici Vortici Vili. Il nome, che è un filo teatrale e non troppo intuitivo, si riferirebbe a dodici diversi punti del globo terrestre “colpevoli” di far capitare svariate stranezze, fra cui sparizioni misteriose e anomalie magnetiche. Detto così, vi sarà sicuramente venuto in mente il Triangolo delle Bermuda: ecco, quest’area geografica non è che una delle dodici zone che è bene sorvolare o attraversare con un po’ di attenzione. Pare, infatti, che aerei e navi cadano vittime del potere dei dodici vortici vili, sparendo spesso nel nulla più assoluto! Da dove deriverebbe la pericolosità di queste aree? Secondo il biologo, sarebbe dovuta a campi magnetici alterati, capaci di disturbare le strumentazioni e impedire che i viaggi possano continuare correttamente. Passare da qui significa incappare in una forte confusione, alimentata dall’inaffidabilità improvvisa di tutte le tecnologie necessarie a navigare e sorvolare la Terra. I dodici vortici vili sono distribuiti in modo piuttosto ordinato: ci sono – come facile intuire – Polo Nord e Sud, accompagnati da cinque aree sul Tropico del Capricorno e cinque sul Tropico del Cancro. Sono, in ordine: l’Isola di Pasqua i Megaliti dello Zimbabwe l’Anomalia del Sud Atlantico il Bacino di Warthon la Fossa delle Nuove Ebridi nell’Oceano Pacifico il Triangolo delle Berbuda la Valle dell’Indus a Mohenjo Doru in Pakistan il Vulcano Hamakulia alle Hawaii i Megaliti dell’Algeria a sud di Timbuktu il Mare del Diavolo a sud del Giappone Alcune di queste aree hanno indubbiamente dei nomi evocativi e non è difficile trovare storie su aerei spariti dai radar o navi misteriosamente scomparse nei pressi di queste zone: è...
L’Ora del Diavolo: cosa succede alle 3:33?...
Come molti appassionati di soprannaturale sapranno, con il termine “Ora del Diavolo” si fa riferimento a un momento preciso della notte, durante il quale streghe, fantasmi e demoni acquistano più potere e compaiono agli occhi dei comuni mortali. L’orario che potremmo definire incriminato non è sempre lo stesso: c’è – infatti – chi ritiene che si debba parlare delle 3 del mattino, chi preferisce avvicinarsi alle 4, chi è affascinato dalla mezzanotte e chi, per tagliare la testa al toro e utilizzare un numero simbolico dal fortissimo sottotesto religioso, parla delle 3:33 spaccate. In effetti, secondo i Vangeli di Marco, Matteo e Luca, Gesù sarebbe morto all’ora nona, le moderne tre del pomeriggio: quale trucco migliore da parte del Diavolo se non ribaltare questo calcolo e prendere forza alle tre del mattino, in un certo senso sbeffeggiando anche il concetto di trinità? Inoltre, la notte ha un significato del tutto particolare, almeno per quanto riguarda la religione cristiana: Giuda tradì Gesù di notte e Pietro lo rinnegò prima che il gallo cantasse… insomma, quando il sole non c’è, si lascia spazio ad azioni e sentimenti turpi. Un altro possibile motivo che rende le 3:33 la perfetta Ora del Diavolo è che quel momento della notte si trova proprio nel mezzo: è abbastanza lontano dal tramonto e mancano ancora parecchie ore all’alba, anche quando le stagioni sono calde e la giornata inizia prima. Ci troviamo, insomma, nel buio più nero, in un’atmosfera che non può che farci pensare a creature inquietanti e scenari fuori da questo mondo. Quello dell’ora delle streghe non è un concetto poi troppo recente: se ne ha traccia già nel ‘500, quando la Chiesa proibiva ogni tipo di attività dalle 3 alle 4 del mattino, per timore di rituali e sortilegi...
Presidenti USA: la maledizione dell’anno zero...
L’elezione di Joe Biden a 46esimo Presidente degli Stati Uniti è stata accolta – pur con diverse proteste, anche molto violente, sul suolo americano – con un generale sospiro di sollievo: i più vedono in questo cambio di rotta l’inizio di un nuovo capitolo, una trasformazione necessaria dopo quattro anni quanto meno controversi. Qualcuno, però, non ha resistito a indagare l’aspetto più misterioso della questione, tirando fuori una vecchia – vecchissima – leggenda riguardante la presunta “maledizione dell’anno zero”. Di cosa si tratta? La maledizione dei nativi americani A quanto pare, all’inizio dell’Ottocento, un Capo Indiano Shawnee chiamato Tecumseh avrebbe lanciato un anatema sui presidenti americani, condannandoli alla morte prima della fine del mandato. Dall’inizio della maledizione, però, a patire le conseguenze più violente di questa vendetta sarebbero stati solo quattro uomini, tutti casualmente eletti in un anno che terminava con lo zero: Abraham Lincoln, James Garfield, William McKinley e John F. Kennedy. Abraham Lincoln venne eletto nel 1860 e venne ucciso a teatro il 14 aprile del 1865, al termine della Guerra di Secessione: a colpirlo fu John Wilkes Booth, un sudista che intendeva vendicare la sua terra. Le conseguenze dell’assassinio furono molto gravi: il repubblicano Lincoln aveva, infatti, scelto come vice Andrew Johnson, un democratico. Questa decisione così particolare era stata presa per promuovere un’idea di collaborazione e distensione: quando, però, Johnson si trovò ad occupare la posizione di Presidente USA, si trovò anche a dover contrastare un Congresso ostile, per lo più in mano ai Repubblicani. Il contrasto di trasformò in impeachment nel 1868. James Garfield restò Presidente per pochissimi mesi: eletto nel 1880, iniziò il suo primo mandato nel marzo del 1881, ma venne aggredito nel luglio dello stesso anno. Colpito in stazione da un avvocato disoccupato – Charles J....
Vicolo Bagnera: la strada più misteriosa di Milano...
Vicolo Bagnera – la via più stretta di Milano – è un passaggio piccolo e lugubre, oggi popolato da graffiti, murales e scritte irriverenti: situato nei pressi di Via Torino, la sua sola apparenza basterebbe ad eleggerlo a set ideale per un thriller o un giallo, ma la sua storia – che affonda le radici nell’800 – rende ancor più difficile passare per questa viuzza senza provare un po’ di disagio. La “Stretta” Bagnera è – infatti – teatro degli omicidi di uno dei primi serial killer della nostra storia: Antonio Boggia, il Mostro di Milano. Antonio Boggia: la storia Di Antonio Boggia e della sua vita tormentata si conoscono diversi dettagli: l’uomo sarebbe nato a fine ‘700 a Urio (in provincia di Como) e sarebbe entrato in conflitto con la giustizia già intorno ai vent’anni. All’epoca, quello che era ancora un ragazzo cominciò a farsi conoscere dalle autorità per piccole truffe e cambiali non onorate, tentando di sfuggire alle conseguenze delle sue azioni con vari trasferimenti: si spostò prima nel Regno di Sardegna, dove venne accusato di tentato omicidio a seguito di una rissa, per poi tornare nel Lombardo Veneto, con la speranza di poter ricominciare da capo. Qui, a Milano, riuscì a ottenere un impiego come fochista, grazie anche alla sua conoscenza della lingua tedesca, e a sposarsi: nel 1831, l’uomo si trasferì in Via Nerino, in un palazzo di proprietà di Ester Maria Perrocchio. Vicolo Bagnera e Via Nerino sono strade perpendicolari. La scia di omicidi di Antonio Boggia cominciò ufficialmente nel 1846: la prima vittima fu Angelo Ribbone, derubato, ucciso e nascosto nello scantinato di Via Bagnera; quindici anni dopo circa, a contattatare i Carabinieri fu il figlio dell’allora 76enne Ester Perrocchio. Le autorità scoprirono non solo che non c’era...
Peter Bergmann: il mistero dell’uomo senza identità...
Nel 2009, la cittadina di Sligo – centro costiero poco distante dal confine con l’Irlanda del Nord – venne sconvolta da un caso tragico e misterioso: la morte di Peter Bergmann. L’uomo – un signore all’apparenza anziano, con i capelli grigi e, secondo i testimoni, l’aspetto emaciato – venne ritrovato privo di vita sulla spiaggia di Rosses Point la mattina del 15 giugno. Ma quella che, raccontata così, potrebbe sembrare la fine tragica di una storia è diventata – invece – il suo oscuro inizio. Perché Peter Bergmann non esiste e ancora oggi, a 11 anni dalla morte, nessuno sa di chi sia il corpo restituito dal mare quella mattina di fine primavera. Torniamo indietro e raccontiamo quei pochi fatti di cui vi è certezza. Peter Bergman sarebbe partito da Derry – in Irlanda del Nord – tre giorni prima della sua morte, arrivando a Sligo in bus subito prima del fine settimana. Giunto in stazione alle 18:28, ancora in pieno giorno, avrebbe preso un taxi per il centro con l’intenzione di cercare una camera in un hotel. Questo dettaglio non è sfuggito agli appassionati di crime: stazione e centro sono vicinissimi, si tratta di una passeggiata di circa 10 minuti. Bergmann non conosceva la città, altrimenti avrebbe saputo che non era necessario pagare un passaggio in auto. Il primo hotel era pieno (si trattava comunque dell’inizio della stagione estiva), ma al secondo – lo Sligo City Hotel su Quay Street – ebbe più fortuna: Bergmann, vestito di scuro e con due buste di plastica al braccio, pagò in anticipo tre notti. I giorni successivi, il misterioso turista avrebbe svolto solo poche attività, molto precise e mirate: sarebbe andato alla posta per acquistare 8 francobolli, avrebbe inviato corrispondenza mai rintracciata e avrebbe svuotato...
La leggenda urbana legata a Giovanni Bragolin...
Giovanni Bragolin, pseudonimo di Bruno Amadio, è stato un pittore veneziano attivo nel corso del Novecento: nato nel 1911 e morto nel 1981, divenne piuttosto popolare grazie ai soggetti dei suoi quadri e – poi – grazie alla leggenda urbana che cominciò a essere loro legata a partire dalla metà degli anni ’80 (Bragolin non ebbe, quindi, mai modo di difendersi dalle varie accuse lanciate in quel periodo). Della sua vita si sa davvero poco: è certo fosse un docente dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, è certo che il successo non arrivò immediatamente, è certo che la sua serie di 27 quadri raffiguranti bimbi piangenti sia la sua produzione più apprezzata e diffusa, è certo che viaggiò molto, che visse in Spagna e che morì per una brutta malattia all’esofago. Per il resto, dal periodo della guerra all’attività post bellica, passando per i suoi impegni professionali, non si hanno ulteriori informazioni. Uno degli elementi più interessanti legati a questo artista è – purtroppo – la serie di misteri, dicerie e leggende che iniziarono a circolare dopo la sua morte, in particolare nel Regno Unito. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta. I bimbi piangenti di Giovanni Bragolin Come abbiamo anticipato, le opere di maggiore successo di questo pittore raffigurano alcuni bambini piangenti: i soggetti sono tristi, desolati, caratterizzati da grandi lacrime sul viso e da una espressione con cui è impossibile non empatizzare. Sembrano soli, abbandonati, sofferenti: i quadri sono sicuramente belli dal punto di vista tecnico, ma sono anche molto forti e generano sensazioni contrastanti in chi li guarda. Secondo chi ha vissuto vicino a Bragolin, l’artista non amava particolarmente questo filone: l’ambientazione e i soggetti – però – vendevano bene e l’uomo continuò a realizzare nuovi pezzi per rivenderli in tutto...
Il mistero della tomba di Inez Clarke...
Quella di Inez Clarke è una storia così complessa e misteriosa da essere ormai diventata una leggenda: e come tutte le leggende, anche questa ha i suoi dettagli inspiegabili e poco realistici. Quello che si sa è che Inez sarebbe una bimba della seconda metà dell’Ottocento, figlia di John e Mary Clarke, morta a soli sei anni dopo essere stata colpita da un fulmine durante un temporale. Naturalmente, le incongruenze iniziano già dalla causa della morte, perché se alcuni sostengono che la piccola sia deceduta mentre cercava riparo con la famiglia, altri dicono sarebbe stata uccisa dalla difterite. Altri ancora, i più cinici forse, dicono che Inez sarebbe, sì, morta per colpa di un fulmine, ma che l’incidente sarebbe avvenuto mentre la bambina si trovava in punizione fuori di casa, senza possibilità di trovare un riparo. Sia come sia, la bimba sarebbe stata seppellita nel cimitero di Graceland a Chicago e la sua tomba sarebbe stata ornata con una meravigliosa statua, visibile ancora oggi. Dentro a una teca si trova un’opera davvero bella ed emozionante, con una ragazzina raffigurata mentre – seduta su un tronco – regge in una mano l’ombrello e nell’altra un fiore. Il viso mostra un leggero sorriso, impossibile da non notare. Qui, però, inizia un secondo mistero: sotto alla statua, realizzata da un certo Andrew Gagel, sarebbe infatti seppellito Amos Briggs, posizionato proprio accanto al fratello Delbert. Negli archivi del cimitero non esiste alcuna Inez Clarke, anche se sulla statua è possibile leggere tutti i suoi dati, comprese nascita e morte nel 1880. Qualcuno ha provato a spiegare questo strano evento: Forse Inez non esiste e l’opera non è altro che una complessa promozione per lo scultore Gagel, desideroso di trovare nuovi lavori; Forse Inez non faceva Clarke di cognome,...
Elisa Lam: fra realtà e congetture...
Quella di Elisa Lam è una delle storie di True Crime più famose degli ultimi dieci anni: i dettagli della vicenda hanno ispirato tantissimi appassionati dell’argomento, portando alla pubblicazione di tanti video, articoli e riassunti. Tutti ricchi di congetture. Partiamo dai fatti, resi in modo il più possibile oggettivo. Elisa Lam era una studentessa originaria di Vancouver, iscritta all’Università della British Columbia. Appassionata di moda, era solita condividere i suoi pensieri e le sue esperienze su varie piattaforme social – compreso, per esempio, Instagram – e su un blog personale, chiamato Ether Fields. Qui, fra i post resi pubblici fino al 2012, era possibile seguirla nel suo percorso difficoltoso e pieno di dubbi, reso ancora più complesso dall’insorgere di un disturbo bipolare e da una forma di depressione: nei suoi racconti della vita universitaria si percepisce la difficoltà della ragazza a mantenere la concentrazione, a gestire il carico di studio e a vivere con serenità le aspettative e il confronto con i suoi coetanei. Elisa si sentiva “in ritardo”, affrontava disturbi anche fisici e si colpevolizzava per non essere riuscita a seguire la tabella di marcia, dopo aver abbandonato due dei suoi tre corsi di studio. All’inizio del 2013, anche per trovare nuove energie per affrontare questa situazione, Elisa decise di partire e viaggiare da sola per qualche giorno, andando prima a San Diego e poi a Los Angeles: proprio qui – il 26 gennaio – fece check in al Cecil Hotel sulla Skid Row, finendo prima in una stanza condivisa, poi – dopo qualche lamentela per il suo comportamento – in una camera singola. Il 31 gennaio – giorno previsto per il check out – i genitori non ricevettero alcuna telefonata da parte sua (la ragazza era solita chiamare anche più volte per...
La scomparsa di Tammy Lynn Leppert...
La parola missing, scomparso/a, è una delle più inquietanti e spaventose per gli abitanti degli Stati Uniti. I numeri che si riferiscono a questo fenomeno, cioè all’impossibilità di ritrovare minori e adulti fra uomini e donne, sono – infatti – impressionanti: più di 600mila l’anno dal 2009 a oggi, con medie anche molto più alte negli periodi precedenti. Da ’94 al ’98, per esempio, gli USA hanno registrato quasi un milione di persone scomparse l’anno, ed è lecito pensare che non andasse meglio nei decenni passati. Fra le tante storie di ragazze e ragazzi spariti nel nulla, si distingue la vicenda di Tammy Lynn Leppert. Tammy Lynn Leppert: da reginetta ad attrice Tammy Lynn Leppert era nata in Florida nel 1965 ed era cresciuta partecipando a sfilate e concorsi di bellezza: si stima che, in totale, la Leppert abbia partecipato ad almeno 300 competizioni, conquistando 280 titoli. L’ex reginetta era poi passata alla carriera di modella, conquistando nel 1978 – a soli 13 anni – la copertina della prestigiosa rivista CoverGirl. Raggiunta la maggiore età, come tante colleghe, aveva deciso di tentare la carriera Hollywoodiana, facendosi conoscere in alcune pellicole. Nel 1983, il suo primo ruolo definito fu nel film Spring Break: Tammy Lynn finì anche sulla locandina e cominciò a frequentare l’ambiente del cinema. Proprio in questo contesto maturarono dubbi e sospetti. Dopo la fine delle riprese, infatti, la Leppert avrebbe partecipato a un così detto “weekend party”, cioè una festa lunga oltre due giorni: una delle sue più care amiche testimoniò che la ragazza sarebbe tornata da quell’evento profondamente cambiata. Prima tranquilla e solare, divenne particolarmente paranoica: terrorizzata per non si sa bene quale motivo, avrebbe cominciato da un giorno all’altro ad aver paura di essere avvelenata e anche di uscire da...
Annie Palmer: la storia della strega bianca di Rose Hall...
Annie Palmer, la strega bianca di Rose Hall, è la famosa protagonista di una canzone di Johnny Cash, oltre che l’ispiratrice di svariate storie dell’orrore. Riti voodoo, sacrifici umani, magie e violenze hanno segnato la sua vita e il territorio in cui ha abitato, alimentando dicerie e leggende urbane che sopravvivono ancora oggi. La sua storia inizia in Giamaica (Montego Bay) a fine ‘700: Annie ha sposato John Palmer, proprietario terriero impegnato nella redditizia coltivazione della canna da zucchero, e gestisce con pugno di ferro tutte le attività svolte all’interno della sua villa in stile georgiano, Rose Hall. La donna è conosciuta per il suo carattere forte e acceso – in netto contrasto con quello del marito, giudicato più tranquillo e quasi ingenuo – e per i suoi metodi estremi: punizioni corporali, torture, frustate pubbliche, persino uccisioni sono fra i sistemi utilizzati per tenere sotto controllo gli schiavi della proprietà. Ma non girano solo queste voci: pare, infatti, che Annie sia solita trascorrere molto tempo con i suoi favoriti e che con alcuni di loro intrattenga anche brevi relazioni che si concludono regolarmente con la scomparsa dello schiavo di turno. La morte del marito è solo una questione di tempo, così come la dipartita prematura anche dei due consorti successivi: non esistono prove certe, ma in tanti sostengono che ci sia proprio Annie dietro a queste tragedie. Nel frattempo, Annie Palmer si sta costruendo anche un’altra reputazione. La donna è appassionata di riti e magie, vuole imparare il più possibile, usa addirittura le conoscenze dei suoi schiavi e sembra morbosamente interessata ad alcuni aspetti particolari, fra cui il sacrificio di vittime umane per realizzare cerimonie oscure. Il suo comportamento, i suoi interessi la portano presto in una situazione delicata e pericolosa: le continue violenze...
Passaggio a Nord Ovest: la leggenda della nave fantasma Octavius...
Quella della nave fantasma Octavius è una delle più note leggende marinaresche, legata alla scoperta del mitico passaggio a Nord Ovest, cioè di quella lingua di mare a nord del Canada che permette di passare da Est a Ovest (e viceversa) tagliando i tempi di navigazione. Il passaggio esiste, ed è stato percorso per la prima volta agli inizi del ‘900 (Amundsen riuscì a completare questa rotta precisamente nel 1906), ma per lungo tempo la sua presenza mitica è stata evocata dai marinai di tutto il mondo, rimanendo nascosta, inquietante e temibile per centinaia di anni. Per tanti partire alla sua ricerca significava non tornare più a casa. La Octavius aveva fatto proprio questa fine. Qual è la sua storia? Secondo il mito, la goletta a tre alberi Octavius era partita nell’ottobre del 1761 dall’Inghilterra, con l’obiettivo di raggiungere la Cina. Una volta arrivato in Oriente, il capitano aveva deciso di tentare l’impresa, percorrendo il viaggio inverso con alcune modifiche nella rotta: non più un tragitto lungo e tortuoso, ma una riduzione dei tempi, possibile solo attraverso il misterioso e affascinante passaggio a Nord Ovest. Il ritorno sarebbe stato più breve, ma anche molto più scomodo: ghiaccio, umidità, temperature basse a cui l’equipaggio non era pronto… la nave era sparita presto nel nulla. L’11 ottobre del 1775, ad avvistare la goletta fu il capitano della baleniera Herald: la nave sembrava in balia del ghiaccio, quasi alla deriva. L’uomo decise di avvicinarsi con una scialuppa e otto uomini per verificare le condizioni della nave: solo nei pressi dello scafo riuscì a leggere il nome dipinto sul legno. All’interno della Octavius trovarono i 28 corpi assiderati dei marinai, ancora sotto le coperte, e – negli alloggi degli ufficiali – una donna bionda, un bambino, un altro...
Cannock Chase: la foresta dei misteri...
Cannock Chase, foresta inglese romantica e misteriosa, è solo una delle numerose aree verdi infestate: pensate a Hoia Baciu o alla foresta dei suicidi in Giappone… luoghi macabri sono sparsi davvero ovunque. La storia inquietante di Cannock Chase inizia, però, da un fatto di cronaca davvero terribile: i tre omicidi A34. L’1 dicembre del 1964, Julia Taylor, 9 anni, sta camminando per la strada, quando uno strano uomo su un’auto le offre un passaggio: dice di essere un amico della madre e Julia non ha motivo di credere diversamente. Accetta il passaggio, senza poter immaginare le conseguenze. Il giorno dopo un ciclista la ritrova vicino alla foresta di Cannock Chase, agonizzante ma viva. L’8 settembre del 1965, Margaret Reynolds (6 anni) sparisce dalla scuola; pochi mesi dopo – il 30 dicembre – a sparire lungo il tragitto per raggiungere casa della nonna è Diana Joy Tift, di 5 anni. Nonostante l’enorme dispiegamento di forze e uomini, nessuna delle due viene ritrovata. Il 19 agosto del 1967, Christine Darby (7 anni) accetta un passaggio da uno sconosciuto: un soldato ritrova il suo corpo martoriato tre giorni dopo, poco lontano da Cannock Chase. Il 4 novembre del 1968, a scampare alle attenzioni di uno strano individuo è Margaret Aulton: sta per accettare un passaggio in macchina, quando le forze dell’ordine – avvertite da un 18enne che sta osservando la scena – fermano il guidatore. Seduto sulla sua Ford Corsair verde e bianca c’è Raymond Leslie Morris: viene accusato dei rapimenti e degli omicidi e, nonostante neghi con forza la sua colpevolezza, Julia – la prima vittima fortunatamente sopravvissuta – lo riconosce ufficialmente durante il processo. Morris viene condannato all’ergastolo: è morto nel 2014, a 84 anni. In corrispondenza alle sparizioni, e poi alla morte di Morris,...
Robert the Doll e Annabelle: bambole maledette e musei dell’orrore...
Cinema e leggende urbane hanno più di una cosa in comune: fra queste, la trasformazione di bambole e bambolotti in oggetti magici, maledetti, spaventosi. Che si tratti di costosissimi modelli in porcellana, pupazzi cuciti a mano del secolo scorso o giocattoli super moderni e accessoriati, ognuno di loro può nascondere un segreto, un’anima perversa capace di tormentare la vita di chi li possiede, anche solo per un momento. Parlando di fortunate serie horror è impossibile non pensare a Chucky la bambola assassina, ma negli ultimi anni il cinema ha trovato una nuova protagonista, la cui storia è ispirata a fatti realmente accaduti: si tratta di Annabelle. Annabelle è una Raggedy Ann, una bambola dai capelli rossi e dal viso amichevole: nei film è sempre un po’ inquietante, le sue espressioni sono poco convincenti e non si fatica affatto a ritenerla posseduta da forze maligne. Il modello reale, regalato nel 1968 a una studentessa che si preparava a diventare infermiera, è molto più innocuo, tenero e simpatico: è la classica bambola di pezza che potrebbe fare un figurone in qualsiasi cameretta per bambini. Peccato che il suo comportamento fosse alquanto bizzarro, per non dire davvero terrificante: spostamenti, voci, risate…. la studentessa e il suo inquilino, spaventati a morte, decisero di chiamare un medium immediatamente. Il verdetto? All’interno del giocattolo si trovava (e apparentemente si trova) lo spirito di una ragazza deceduta. Il nome è – manco a dirlo – Annabelle. Cosa fare a questo punto? Più o meno quello che succede nei film. I due contattarono Ed e Lorraine Warren, la coppia esperta dell’occulto, i quali – dopo aver confermato il sospetto del primo medium – si portarono via la bambola, per esporla al loro The Warrens’ Occult Museum a Monroe, Connecticut. I più cinici...