Il surrealismo in fotografia...

Tra i mezzi di rappresentazione visiva più conosciuti, caratterizzato per rappresentare la realtà così come la vedono i nostri occhi, c’è indubbiamente la fotografia. Quando invece parliamo di fotografia surrealista questo momento da catturare o un realismo oggettivo non esistono più, esiste solo una realtà soggettiva. La fotografia surrealistica è una tendenza artistica nel campo della fotografia il cui obiettivo è esprimere, per mezzo delle immagini, l’essenza e le inquietudini dell’essere umano attraverso tecniche e tematiche legate al mondo dell’inconscio, dell’onirico e dell’irrazionale. Questa tendenza nacque dal movimento d’avanguardia conosciuto come “surrealismo”, apportando un notevole rinnovamento nell’arte pittorica e visiva. Guidati da Breton, i surrealisti svolsero un lavoro importante separando gli approcci estetici tradizionali, acquisendo nuove e grandi possibilità di creazione e sperimentazione grazie alla capacità degli artisti di sfruttare il momento in cui un’immagine viene catturata e la capacità dell’essere umano di percepirla come reale nonostante sia finzione. Il surrealismo, come lo definisce André Breton, è come un automatismo psichico con cui ci si propone di sperimentare il funzionamento del pensiero in assenza di ogni controllo da parte della ragione, senza alcuna preoccupazione estetica e morale. In queste condizioni il fenomeno surrealista si alimentò di diverse aree artistiche e culturali, assorbendo dalla fotografia tradizionale il modo di operare e procedere per immagini attraverso l’articolazione inconscia della realtà. Per fare questo sfrutto due diverse procedure: le fotografie manipolate, quello solitamente definito surrealismo tecnico, e quelle non manipolate, fatto di immagini come strumento documentale con “l’oggetto trovato” dall’artista. Bisogna ricordare che la manipolazione delle immagini è pienamente accettata in quanto infrange le regole della realtà e libera la creatività e l’inventiva, anche producendo strane forme che aiutano l’inconscio ad emergere attraverso i sensi. Man Ray, nato nel 1890 negli Stati Uniti, è una delle figure...

L’URLO DI MUHAMMAD ALI...

Muhammad Ali è, forse, il pugile più famoso di sempre: un personaggio per certi versi amato e odiato, conosciuto per i suoi “balletti” sul ring, per le sue provocazioni durante le interviste, per il suo carattere forte e deciso, per la sua conversione all’Islam, per il suo rifiuto a partire per il Vietnam (che gli costò la radiazione dall’albo dei pugili nel 1967 e la riammissione solo nel 1970), per i suoi 61 incontri, di cui 56 vinti (37 per KO). Ali non aveva problemi a dire ciò che pensava, né a scontrarsi con pugili ritenuti migliori di lui: la sua fortuna fu, forse, anche questa. Video, frasi e interviste hanno consacrato il suo mito insieme ai suoi successi sul quadrato, ma anche diverse immagini hanno contribuito a rafforzare la sua immagine sia durante la sua carriera che successivamente: una di queste ha una storia incredibile e venne scattata da uno sconosciuto – almeno all’epoca – Neil Liefer durante la rivincita fra Muhammad Ali e Sonny Liston, tenutasi il 25 maggio del 1965 a Lewiston, nel Maine. I due pugili si erano già incontrati il 25 febbraio del 1964: Liston, il favorito, era noto per la sua aggressività sia dentro che fuori dal ring ed era generalmente poco apprezzato, soprattutto dagli “addetti ai lavori”; Ali, all’epoca ancora Cassius Clay, arrivava dalla medaglia Olimpica di Roma (1960) e da qualche ottimo risultato, ma niente di più. L’incontro terminò in modo inaspettato, permettendo al giovanissimo Ali di conquistare in un colpo solo titolo e fama. La rivincita mise in campo una situazione completamente ribaltata: nessuno era più così certo che Liston avrebbe potuto battere quel giovane pugile di Louisville, ormai conosciuto a livello internazionale. In effetti, lo scontro si chiuse quasi subito, ma in un modo...

OLIVIERO TOSCANI E LA SHOCKVERTISING...

Figlio di Fedele Toscani, il primo fotoreporter del Corriere della Sera, Oliviero Toscani è un pubblicitario, un creatore di immagini corporate e campagne pubblicitarie ed un fotografo di moda noto in tutto il mondo: nasce a Milano nel 1942 ed inizia la sua incredibile carriera a partire dalla metà degli anni ’60, dopo aver conseguito il diploma di fotografia. I primi reportage, dedicati all’attualità, risalgono al 1968 ed il punto di vista originale con cui Toscani rappresenta le nuove mode gli garantisce una serie di contatti con alcuni grandi marchi, come Elle, Vogue, Vogue Uomo e Harper’s Bazaar, usati come trampolino di lancio per arrivare a Chanel, Valentino, Fiorucci, Prénatal ed Esprit. Nel 1982 inizia il sodalizio che, più di altri, gli permetterà di creare pubblicità irriverenti e di grandissimo impatto: quello con Benetton. La collaborazione dura fino al 2000 e porta, fra le altre conseguenze, alla nascita di Playlife, ramo sportivo dell’azienda. Nei 20 anni di direzione dell’aspetto pubblicitario della Benetton, Oliviero Toscani dà vita ad una serie di campagne molto personali, spesso provocatorie: le immagini scelte per rappresentare l’azienda nel mondo sono originali, innovative e, soprattutto, immediatamente riconoscibili. Bimbi da ogni parte del mondo che fanno le smorfie, ragazze pop bellissime, etnie che si incontrano, culture che si intrecciano, pregiudizi che crollano… le idee in casa Benetton portano a questo e a molto altro. In effetti, Oliviero Toscani viene spesso citato nell’ambito della “Shockvertising”, delle pubblicità in grado, cioè, di provocare un forte impatto emotivo sullo spettatore, chiamando spesso in causa elementi d’attualità (il termine deriva dall’unione delle parole anglosassoni Shock, “scossa, urto”, ed Advertising, “pubblicità”). Fra gli esempi più famosi, si possono citare il cimitero francese della Prima Guerra Mondiale ritratto nel 1991 per rappresentare la brutalità e l’inutilità dei conflitti (in Italia,...

PANTONE IN CUCINA!

La Pantone Inc. nasce nel 1962 a CarlStadt, nel New Jersey, per opera di Lawrence Herbert: l’azienda statunitense si occupa di tecnologie per la grafica e, negli anni ’50, mette a punto un sistema di catalogazione e riconoscimento dei colori che diventa da subito standard internazionale, utilizzato anche nei settori industrali e chimici. L’obiettivo è tradurre tutte le diverse tonalità nel sistema di stampa CMYK (ciano, magenta, giallo e nero) con un codice formato da due campi: il primo può essere caratterizzato da una parola o da un numero di due cifre, ma, per i colori più comuni, esistono definizioni più classiche (es. il bianco “Safe” o il rosso “Scarlet Red”).  Nel corso degli anni, il termine Pantone è diventato una vera e propria istituzione: a partire dal 2000, per esempio, l’azienda sceglie il “colore dell’anno“, capace di influenzare le scelte anche nel campo della moda e dello spettacolo (scelto il “Radiant Orchid”, l'”Emerald” o il “Tangerine Tango”, accessori, capi d’abbigliamento, cosmetici… tutte le aziende cercheranno di sfruttare la tonalità di moda)! Ma i Pantone hanno influenzato arte e design anche in altri modi! David Schwem, designer ed illustrator originario del Midwest, ha, per esempio, realizzato un progetto basato su una serie di fotografie che hanno per protagonisti cibi associati in base al gusto e al colore: i Food Art Pairings. Ispirandosi ai Pantoni, ha abbinato tonalità e ricette in modo divertente ed originale, creando nuove “mazzette” da sfogliare per poter scegliere il colore perfetto per noi! Schwem, collaboratore fra gli altri di Apple, Target, GQ e Warby Parker, ha fatto della ricerca sul colore uno dei suoi tratti distintivi: lo dimostrano altri bellissimi progetti, come Rechargeable Fruit, Cereal Day e Camelflage...

GENETIC PORTRAITS: A CHI ASSOMIGLI DI PIÚ?...

Il colore degli occhi, la forma del naso, il sorriso, i capelli ricci o lisci… quali dei nostri tratti sono più simili a quelli dei nostri fratelli, cugini, genitori? Le somiglianze e le differenze fisiche sono scritte nei nostri geni e, anche se a volte non sono evidenti, basta la giusta foto a farle emergere: questa è l’idea alla base di “Genetic Portraits“, il bellissimo progetto dell’artista canadese Ulric Collette che, dopo aver iniziato a modificare una serie di foto di famiglia nel 2008, ha dato vita negli anni ad una vasta collezione di ritratti “in coppia” (unendo le due metà dei visi dei protagonisti), testimonianze di ciò che ci accomuna e ciò che ci divide. Le scoperte sono state clamorose: fratelli assolutamente diversi, nipoti identici a nonni e nonne, figli che sembrano la fotocopia più giovane dei propri genitori… per ognuno di loro, Ulric ha dovuto scattare circa 100 fotografie, in modo da poter accoppiare grazie a Photoshop due immagini con uguale distanza, angolo e luce, nelle quali i protagonisti condividessero anche l’espressione del viso. E proprio questo particolare è fra i più sorprendenti: quasi sempre, infatti, anche gli individui più diversi si assomigliano per una pura questione di attitudine, di relazione con la macchina fotografica, mostrando le medesime emozioni esattamente allo stesso modo, quasi a sottolineare che non è solo un particolare fisico a renderci parte di una famiglia. Ecco alcuni degli esempi più rappresentativi di Genetic Portraits: Laurence e Christine, gemelle (2014). A colpo d’occhio, e salvo eccezioni, due gemelli sono identici: moltissimi programmi televisivi, romanzi, film hanno spesso giocato sulla loro intercambiabilità (sempre e solo fisica) e sulla convinzione che la somiglianza esteriore si accompagni sempre ad un legame interiore particolare. Le foto di Ulric Collette confermano e smentiscono contemporaneamente...

THE BLACK DOGS PROJECT: COME SUPERARE LA SUPERSTIZIONE...

Da sempre, il colore nero viene associato a ricordi, sensazioni, esperienze negative: passando dai gatti neri, alla paura del buio, fino ad arrivare a tutte le superstizioni legate al demonio ed alla stregoneria, non esiste un’altra tonalità in grado di innescare in chi guarda emozioni tanto contrastanti. Purtroppo, preconcetti e convinzioni sono spesso in grado di modificare il nostro comportamento, portando a conseguenze anche molto spiacevoli: è il caso dei cani neri a cui, in caso di adozione, vengono spesso preferiti esemplari più chiari, nocciola, beige o bianchi. Si tratta della così detta “Sindrome del cane nero“, a causa della quale chi si avvicina ad un animale dal pelo scuro ha istintivamente la sensazione che sia più feroce e pericoloso: in realtà, nonostante gli studi, non esiste alcuna conferma scientifica dell’interazione fra colore e comportamento e si è lentamente arrivati alla conclusione che questa convinzione sia un semplice mito, una falsa verità che ancora influenza tanti futuri padroni. Ad accorgersi del fenomeno è stato un fotografo statunitense originario di Maynar, Massachusetts, che, dopo aver parlato con numerosi impiegati dei canili degli Stati Uniti si è sempre più convinto che, nonostante non esistano statistiche precise, il problema sia reale: il suo nome è Fred Levy e, per dare il suo contributo alla causa, ha dato vita ad un progetto, The Black Dogs Project, con l’obiettivo di dimostrare ai futuri padroni che non è importante il colore di un cane, ma la sua capacità di amare e di farci compagnia. I cani neri scelti da Levy vengono fotografati davanti a pareti completamente scure e con le loro espressioni dolci e furbe dimostrano una semplice verità: mai giudicare dalla...

I RITRATTI ULTRAVIOLETTI DI CARA PHILLIPS...

Cara Phillips, artista originaria di Detroit e attiva nell’ambiente di Brooklyn, si è imposta sulla scena internazionale con una serie di progetti, fra cui i particolarissimi ritratti ultravioletti nati dalle sue ricerche sulla bellezza. Le Ultraviolet Beauties si ispirano alle fotografie UV che dermatologi ed  esperti di bellezza utilizzano per mostrare a clienti e pazienti come sarà la loro pelle nel futuro: la tecnologia ad ultravioletti mostra, infatti, tutti quei difetti nascosti sotto la superficie che potrebbero comparire con l’invecchiamento e che vengono utilizzati come metodo per vendere prodotti specifici per la protezione e la cosmesi.   Cara Phillips ha deciso di utilizzare la stessa tecnologia, unita al bianco e nero, per creare ritratti completamente innovativi: non più visi perfetti e finti, più o meno pesantemente modificati, ma un insieme di imperfezioni, che creano la vera bellezza. Questo progetto promuove l’accettazione di se stessi, testimoniando come il mostrarsi per ciò che si è realmente sia più efficace di una rappresentazione artificialmente perfetta. I soggetti di Ultraviolet Beauties sono tutti i volontari che, leggendo il cartello “Free Photographs”, si sono messi in gioco per 8 ore tutti i giorni: gli antiritratti a occhi chiusi, però, non hanno come obiettivo il rispondere a grandi dubbi, ma, piuttosto, il provocare importanti domande, costringendoci a vedere la realtà da un nuovo punto di vista. Voi avresti il coraggio di mostrare cosa si nasconde sotto la...

CAPA IN COLOR: IL LATO NASCOSTO DI ROBERT CAPA...

Fino al 4 maggio 2014 sarà allestita all’International Center of Photography di New York la mostra dedicata al fotografo Robert Capa, intitolata Capa in color. La collezione conta circa 100 opere, selezionate fra le fotografie a colori scattate da Capa a partire dal 1938, anno in cui iniziò ad affiancare alla produzione in bianco e nero un’intensa attività a colori: la nuova esperienza fu per lui così importante da spingerlo, a partire dal 1947, a portare sempre con sé due macchine fotografiche differenti, in modo da non lasciarsi sfuggire mai un soggetto. Le immagini a colori riguardano, fra gli altri, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, gli scontri in Israele fra il ’49 ed il ’50, le giornate trascorse con Picasso ed Hemingway, le incursioni sui set di Ava Gardner ed Humphrey Bogart, la moda parigina, i viaggi in Svizzera ed, infine, gli scontri in Indocina, durante i quali Robert Capa morì prematuramente, saltando su una mina nel 1954. Le sue fotografie a colori non vennero mai particolarmente apprezzate né prima né dopo la sua scomparsa, poiché, almeno fino agli anni ’70, l’uso del colore veniva associato solo alle pubblicità e ai servizi di scarso valore artistico: fu solo a partire dal 1976, con la mostra personale di William Eggleston al MOMA di NY, che la prospettiva cominciò a cambiare. Per Robert Capa, la fotografia a colori fu sempre un interessante diversivo, che gli permetteva di affiancare alle immagini in bianco e nero dell’impegno civile e della realtà più dura, fotografie più leggere e allegre, che raccontavano la vita comune e la quotidianità. Capa in color celebra, quindi, il talento di un fotografo sempre all’avanguardia, proiettato costantemente verso il futuro, che con i suoi scatti bellissimi e, spesso, terribili, riuscì a cambiare per sempre il...

Chi sono i “Dancers Among Us” di Jordan Matter?...

Quale metodo utilizzereste per rappresentare un solo istante di gioia e bellezza della vostra vita? Quale soggetto potrebbe esprimere meglio la passione, la forza, la felicità? Jordan Matter, fotografo newyorkese, ha pensato ai ballerini. Ai dancers among us che danzano costantemente intorno a noi. Perché? Beh, perché i loro corpi raccontano storie senza bisogno di parole, rappresentando la dedizione, la tenacia e, allo stesso tempo, la bellezza e la vitalità di cui tutti noi abbiamo bisogno.     Questo progetto nasce quasi casualmente, durante un viaggio in bus: il figlio di Jordan, Hudson, stava giocando con una scatola gialla e dei bambolotti senza braccia e, con quella capacità tipica dei bambini, sembrava in un mondo tutto suo. La sua fantasia aveva creato un universo nuovo, dove tutto era possibile e dove si poteva essere davvero felici, proprio in quel preciso momento: perché non cercare di cogliere questo stesso sentimento anche nel mondo un po’ più grigio degli adulti?     Quindi, dopo 3 anni di foto a decine di danzatori, nacque “Dancers Among Us”, la personale celebrazione che Jordan Matter fa della gioia del quotidiano, dell’abilità di vivere l’istante essendo assolutamente presenti, senza preoccupazioni, senza proiettarsi per forza al futuro, ma pensando solo al qui e ora: ragazze e ragazzi che saltano e fanno piroette in librerie e biblioteche, che si abbracciano e si scatenano per strada, sulle scale mobili, nelle piazze, persino nella metro, raccontano come sia possibile essere felici anche con i nostri difetti e con le nostre difficoltà. L’ottimismo e la dinamicità caratterizzano queste fotografie, simbolo di una umanità che nonostante tutto non si ferma mai.     Il successo dei Dancers ha portato Jordan a scegliere come protagonisti del suo nuovo progetto gli atleti: in “Athletes Among Us” i protagonisti sono...

HUMANS OF NEW YORK: QUANDO UN BLOG DIVENTA UN SUCCESSO...

Qual è il blog preferito di David Karp, fondatore della piattaforma di microblogging Tumblr? Humans of New York. E che cos’è Humans of New York? Semplicemente il più grande archivio di “facce” newyorkesi al mondo, nato dalla mente del giovane fotografo americano Brandon Stanton. Nato e cresciuto ad Atlanta, Brandon Stanton si laurea in Storia all’Università della Georgia e trova il suo primo lavoro grazie ad una scommessa: dopo ave ottenuto 3mila dollari con i prestiti agli studenti, decide di puntarli tutti sulla vittoria di Barak Obama alle presidenziali. E ha ragione. Un amico, incuriosito dalla sua abilità, gli trova un lavoro da Operatore Finanziario a Chicago: all’inizio il lavoro va bene, ma dopo quasi tre anni le cose smettono di funzionare e Brandon è costretto a trasferirsi di nuovo, questa volta nella Grande Mela. Il giovane fotografo mette allora a punto un nuovo progetto: fare un censimento degli abitanti della città attraverso 10.000 immagini e, nell’estate del 2010, inizia la sua avventura, apre un blog dove poter pubblicare i suoi scatti e lo chiama “Humans of New York“. Presto il progetto comincia a mutare e Brandon aggiunge alle sue immagini brevi interviste che ha fatto a quasi tutti i suoi soggetti: persone di successo e con una vita felice (“Una volta ho partecipato ad un talent show e, alla fine, tutti si sono alzati in piedi ad applaudire”) e barboni pieni di saggezza (“Qual è stato il momento più felice della tua vita?” “…Sono piuttosto felice in questo momento”), uomini e donne appena usciti di prigione e ragazzi che cercano disperatamente il loro posto nel mondo, soldati, sportivi e studenti (“Qual è il momento della tua vita di cui sei più orgoglioso?” “La prima volta che ho indossato l’uniforme”), bambini felici che saltano...