Lo strano caso di Una Poltrona per Due...

Vi state per caso chiedendo se anche quest’anno alla Vigilia di Natale vedremo in tv Una Poltrona per Due? La risposta è si.Di più, vedremo Una Poltrona per Due e subito prima ci sarà quello che sta diventando pian piano il must delle ore 19 del 24 dicembre: il Grinch! Pare proprio che le abitudini siano dure a morire… Ma cos’ha di speciale Una Poltrona per Due? Trading Places, questo il titolo originale del lavoro di Landis, è uno dei film natalizi anni ’80 per eccellenza, almeno qui in Italia: uscito nelle sale nel 1983, vede come protagonisti Dan Aykroyd, Eddie Murphy e Jamie Lee Curtis.Il primo, l’Elwood Blues dei Blues Brothers, stava cavalcando l’onda che lo avrebbe portato di lì a poco a interpretare Ray Stantz nell’iconico Ghostbusters; il secondo stava abbandonando almeno per un po’ il suo ruolo di stand up comedian di enorme fama per imbarcarsi in una avventura cinematografica che – come sappiamo – gli avrebbe fatto guadagnare una popolarità incredibile; la terza si affacciava alla commedia dopo alcuni anni di estremo successo nel genere horror (con Halloween su tutti). Con questo cast stellare, Una Poltrona per Due racconta una storia natalizia agrodolce, in cui la risata nasconde una critica sociale piuttosto feroce.Cosa succederebbe se si prendessero due uomini provenienti da contesti sociali opposti e semplicemente si scambiassero di posto (da qui il titolo originale della pellicola)?A determinare il successo di un uomo è solo il suo talento o provenire da un ambiente favorevole e agiato, che lo aiuta e lo sostiene, ha un ruolo determinante?Insomma, genio o educazione?A rispondere alla domanda sono i due ricchissimi e avidissimi fratelli Duke – Randolph e Mortimer – che, per un solo dollaro, scommettono di poter verificare le loro teorie sostituendo il loro...

Lo strano caso del nuovo Mulan Set07

Lo strano caso del nuovo Mulan...

Per i bimbi e gli adolescenti degli anni ’90, Mulan è uno dei grandi classici Disney, ricordato non solo per l’epicità della trama, ma anche per i tanti spunti comici e i personaggi iconici facilissimi da quotare anche a distanza di quasi 22 anni. Non so voi, ma a me capita ancora di recitare drammaticamente un bel “disonore su di te, disonore sulla tua mucca” quando qualcuno mi fa un piccolo torto (dall’amico che tira un pacco, all’automobilista che decide di cambiare corsia senza mettere la freccia). Senza parlare, poi, delle canzoni, che sono forse fra le migliori di tutta la produzione. Ecco, il nuovo Mulan non ha quasi nulla di tutto ciò. Chi lo ha visto – e per vicissitudini che vedremo a breve non è che il pubblico sia così vasto – si è trovato davanti un live-action un po’ stanco, senza musica, con poca epicità e – soprattutto – senza Mushu, il draghetto amico della protagonista che ai bei tempi era doppiato da un insospettabile Enrico Papi (per altro, bravo bravissimo nel ruolo). Il film del 2020 sembra un po’ un visto e rivisto, che ha il grande merito di non eccedere con la CGI (e di fare un ottimo lavoro di grafica sui titoli di coda), ma che allo stesso tempo non aggiunge nulla alla versione cartoon: la trama è più o meno sempre la stessa – con molto più che un accenno alla politica di genere e diversi simbolismi chiarissimi legati alla figura femminile – ma manca un po’ di gioia, un po’ della classica magia Disney. È un film Marvel, questo sì, ma di fatato e irresistibile ha poco. Già questo basterebbe a mettere in guardia chi ha aspettato mesi e mesi per poterlo vedere. Ma ora passiamo...

Lo strano caso del film Contagion...

Nel non poi così lontano 2011, gli appassionati di cinema – e in particolare delle pellicole action thriller a tema pandemia – vennero sorpresi dall’ultima fatica del regista Steven Soderbergh, lo stesso di Out of Sight, Erin Brockovich, Ocean’s Eleven (e sequel) e Solaris: Contagion. Il cast stellare contava – fra gli altri – anche Gwyneth Paltrow (che fa una particina ina ina piuttosto importante), Matt Damon, Jude Law, Kate Winslet, Marion Cotillard, Bryan Cranston e poteva vantare una trama insieme interessante e inquietante, la cui forza dipendeva innanzitutto da un realismo a tratti horror: con tutte queste premesse, la pellicola incassò 135 milioni di dollari in tutto il mondo, mettendo le basi per un nuovo modo di rappresentare scienza, scienziati e medicina al cinema. Nel 2020, a 9 anni dal suo primo successo, il film è tornato di incredibile attualità, rientrando a gennaio nella Top 10 dell’iTunes Movie Rentals, cioè dei film più noleggiati dagli utenti della Mela: a febbraio, è sceso all’undicesimo posto. Come mai? La risposta è semplice: Coronavirus. L’outbreak del Coronavirus ha spinto moltissimi a cercare risposte plausibili e confortanti all’interno delle pellicole dedicate a questo tema: se tanti film sono assolutamente sconsigliati (e anche un po’ pericolosi, se pensiamo che potrebbero scatenare l’effetto contrario), l’idea di riguardare Contagion potrebbe non essere del tutto inutile. I temi messi in campo dalla pellicola sono vari e validi, quasi tutti gli aspetti scientifici sono trattati con attenzione e la rappresentazione di tecnologie, interventi sul campo e organizzazione delle cure è, pur nella drammatizzazione necessaria per dare un significato al film, molto vicina al reale: anche il lato governativo e quello delle ordinanze ufficiali è piuttosto realistico. Ma di cosa parla il film? Contagion segue passo passo il diffondersi di un virus (inventato...

Addio a Kirk Douglas, il duro di Hollywood Feb06

Addio a Kirk Douglas, il duro di Hollywood...

Kirk Douglas non era fatto per le commedie. Ci aveva provato all’inizio della sua carriera, ma si era reso conto subito che quel genere non gli permetteva di utilizzare al meglio le sue caratteristiche e i suoi talenti. Perché Kirk Douglas era un duro, un arrabbiato, uno in lotta col mondo, uno che voleva farcela: i suoi ruoli migliori rispecchiano tutti quest’animo ribelle e un po’ cinico. Nato ad Amsterdam (stato di New York) nel 1916, figlio di una coppia di immigrati ebrei bielorussi, si era laureato in Lettere, si era diplomato all’Accademia Americana di Arte Drammatica a NY, aveva prestato servizio in marina durante la Seconda Guerra Mondiale e poi era tornato a fare teatro. E recitava col suo nome, Issur Danielovitch, o al massimo col suo primo pseudonimo Isadore Demsky. Ma a Broadway quel nome non piaceva, era troppo complicato, così lo aveva cambiato con Kirk – protagonista di un fumetto – e Douglas, il cognome della sua insegnante di dizione: un nome d’arte d’effetto, che ben si accordava con il suo fascino e le sue capacità. Nel ’46 aveva debuttato al cinema con “Lo strano amore di Marta Ivers”, ma poi aveva cambiato orizzonti, buttandosi su ruoli più complessi e tosti, su ruoli anche moralmente ambigui: insomma, su “cattivi” sarcastici e approfittatori, che però sotto sotto nascondevano motivazioni condivisibili. I classici cattivi che non si possono odiare. Il successo vero era arrivato nel 1951 con “L’asso nella manica” di Billy Wilder, film dove Kirk Douglas interpreta un giornalista senza scrupoli e riesce a fare uno dei gesti più iconici della storia del cinema, cioè accendere un fiammifero facendo scattare una macchina da scrivere. Tre anni dopo aveva fondato la sua casa di produzione, la Bryna Productions (dal nome della madre), e...

10 Film che parlano di “orrori” ambientali Ott22

10 Film che parlano di “orrori” ambientali...

Di pellicole post-apocalittiche è piena la cinematografia mondiale: futuri non troppo lontani in cui gli alieni ci controllano (come in Essi Vivono), mondi paralleli nei quali una tremenda epidemia ha decimato la popolazione o ha trasformato la maggioranza in pericolosi esseri mostruosi (come in 28 giorni dopo, Io sono Leggenda, Contagion o L’Esercito delle 12 Scimmie), realtà in cui la tecnologia ha preso il sopravvento (Terminator e Matrix, per citarne due). Ci sono, poi, punti di vista più originali, come quello espresso da Carpenter nel suo iconico 1997: Fuga da New York, dove possiamo vedere un mondo reso invivibile da un aumento del 400% della criminalità. C’è – poi – tutto un filone dedicato ai cambiamenti climatici e alle loro conseguenze su ecosistemi e civiltà: a pochi giorni da Halloween, vediamo 10 Film che parlano di “orrori” ambientali! Dalla guerra nucleare allo scioglimento dei ghiacciai Questa importante e ampia categoria di film include pellicole d’azione, d’avventura e thriller, lungometraggi tradizionali e animazioni: a ciascuno di noi sarà capitato di vedere almeno uno di questi titoli! – THE DAY AFTER TOMORROW: uscito nel 2004, questo film d’azione descrive le conseguenze catastrofiche del surriscaldamento del pianeta. In poche ore, il mondo è costretto ad affrontare il distacco di una parte della banchina dell’Antartide, tempeste, tornati, inondazioni: il tutto sembra presagire una nuova glaciazione. – NAUSICAA nella Valle del Vento: il film d’animazione del maestro Hayao Miyazaki – uscito nel 1984 – descrive una guerra termonucleare di ben sette giorni, capace di devastare quasi completamente il pianeta. I pochi sopravvissuti sono costretti ad affrontare automi biologici, creati dall’uomo e sfuggiti a ogni controllo. – I FIGLI DEGLI UOMINI: questo particolarissimo – affascinante, doloroso – film di fantascienza del 2006 racconta in modo unico le connessioni fra diverse...

The Wilhelm Scream: l’effetto sonoro più famoso! Ott02

The Wilhelm Scream: l’effetto sonoro più famoso!...

Il Wilhelm Scream (o urlo di Wilhelm) è uno degli effetti sonori cinematografici più famosi di sempre: si tratta di un grido maschile acuto, che fa subito pensare che qualcuno stia cadendo o sia stato colpito in modo piuttosto doloroso. Generalmente, viene inserito dai montatori all’interno dei film per sottolineare con un po’ di pathos la morte – spesso spettacolare – di un personaggio. Ma il Wilhelm Scream non è solo una clip sonora aggiunta per enfatizzare un passaggio della trama: è anche, e soprattutto, un inside joke fra esperti di cinema, una specie di sorpresa che tanti appassionati ricercando ogni volta che guardano una nuova pellicola! L’urlo compare la prima volta nel 1951, nel film “Tamburi lontani”: il grido accompagna la morte di un personaggio minore, sbranato da un alligatore. Alcuni anni dopo, Ben Burtt – montatore dalla saga Guerre Stellari – incappa in questo effetto sonoro e se ne innamora: non solo lo inserisce in tutti i film, ma cerca anche di risalire all’autore dell’urlo. Nonostante non ci siano conferme, pare che il padre del Wilhelm Scream (chiamato così in onore di un personaggio del film “L’indiana Bianca” del ’53) sia l’attore e cantante Sheb Wooley. Da quel momento, l’effetto sonoro comincia a circolare e sempre più pellicole lo includono: il suo impatto è talmente forte da fargli guadagnare una diffusione incredibile, anche fra serie tv e videogiochi. La notorietà del grido cresce a dismisura negli anni e l’effetto diventa un vero e proprio Easter Egg: in rete esistono veri e propri elenchi aggiornati giorno per giorno, che includono tutti i titoli in cui è possibile ascoltare la presunta voce di Wooley. Qualche esempio? Avengers: Infinity War, Cars, Up, Juno, District 9, Barbie e la Scarpetta Rosa, Small Soldiers, Primeval (in cui...

Denis Villeneuve: fra scena indipendente e Hollywood Giu28

Denis Villeneuve: fra scena indipendente e Hollywood...

Denis Villeneuve, regista canadese diventato in pochi anni una vera e propria rivelazione su scala internazionale, si divide da sempre fra piccoli capolavori indipendenti e grandi produzioni ad altissimo impatto – fra Un 32 août sur terre e Blade Runner 2049 – analizzando l’animo umano in tutte le sue sfaccettature. Che si tratti di una pellicola sci-fi o di un film iper realistico, ogni lungometraggio presenta alcuni tratti comuni, alcuni piccoli segni che il regista sembra ripetere con una certa sistematicità a ogni occasione. I suoi protagonisti, per esempio, sono sempre alla ricerca di qualcosa: uomini e donne, in una posizione di potere oppure trascinati dagli eventi, sono sempre spinti verso un obiettivo, uno scopo di cui il pubblico è più o meno cosciente. E questi obiettivi, spesso, cambiano in modo inaspettato e si intrecciano, portando i personaggi a scoprire lati della propria personalità che non conoscevano o – addirittura – elementi nuovi della realtà che li circonda. Il Detective Loki di Prisoners, per esempio, sta cercando due bambine scomparse, ma si trova a fare i conti anche con se stesso, con la paura di fallire, con il senso di colpa, con le responsabilità; il Keller Dover di Hugh Jackman, padre di una delle due bimbe, sta disperatamente cercando la figlia, ma finisce per riportare a galla lati della personalità che pensava di aver nascosto per sempre; la Kate Macer di Emily Blunt, d’altra parte, scopre in Sicario tutti i limiti della sua risolutezza, scopre di essere una pecora fra i lupi. E i personaggi di Villeneuve tendono a percorrere questo intricato sentiero fra interiorità e contatto con l’esterno facendo i conti con una violenza estremamente realistica, quasi crudele: gli incidenti in auto, per esempio, sono ricorrenti e segnano sempre un momento di rottura...

David Fincher: il cinema delle emozioni Giu19

David Fincher: il cinema delle emozioni...

Se cercate degli approfondimenti sullo stile del regista statunitense David Fincher – che sia un articolo su Movieplayer o il bellissimo video del Canale Youtube NerdWriter1 – scoprirete che tutti sono d’accordo su un elemento: Fincher parla di emozioni, trasmette emozioni, usa le emozioni in ogni momento. Questo non significa che le sua filmografia sia abitata dal melodramma: più semplicemente, o forse meno semplicemente, le storie raccontate parlano solitamente di persone e le persone provano e manifestano tantissime emozioni, anche contemporaneamente. Fincher cerca proprio di focalizzarsi su questo aspetto, sul quel “motion” che fa parte della parola “emotion” e che si riferisce a come un tormento interiore possa esprimersi o meno in superficie. Per realizzare questo obiettivo, il regista coreografa ogni singolo fotogramma, sincronizzandosi coi suoi attori: ogni movimento dei personaggi è seguito come un’ombra da un corrispondente movimento di macchina, pan, tilt o track. In questo modo, lo spettatore può “sentire” il movimento, creando una connessione quasi unica nel suo genere: io non mi limito a guardare cosa fa un determinato personaggio, ma mi muovo con lui, percepisco il suo dubbio, sento la sua paura, vengo colpito dallo stesso disgusto, dalla stessa disillusione. In quanti si sono sentiti intrappolati nella cantina del presunto assassino con Robert, il protagonista di Zodiac? In quanti hanno provato enorme confusione, la stessa del Nicholas Van Orton di Michael Douglas, guardando The Game? Chi non ha condiviso i dubbi di Nick, marito incastrato nel meraviglioso Gone Girl? Per non parlare poi dell’alienazione che si prova in modo costante nel guardare Fight Club. David Fincher non tocca temi facili, le sue emozioni non sono mai semplici e piatte: sono complesse, mischiate, in contraddizione fra loro, tremendamente vere. Nei vicoli della città grigia e distaccata in cui è ambientato Seven...

The Neon Demon: dalla Bibbia a Dante Mag18

The Neon Demon: dalla Bibbia a Dante...

Uscito nelle sale nel 2016, The Neon Demon ha scatenato reazioni contrastanti, paragonabili in parte a quelle che avrebbero accompagnato un anno dopo il tanto contestato mother! di Aronofski: l’ultima opera di Nicolas Winding Refn – regista, fra gli altri, di Drive e Bronson – è stata amata e odiata, capita e contestata. Sicuramente, però, non è passata inosservata. Classificato ufficialmente come un horror (e gli elementi terrificanti – seppur non convenzionali – non mancano), il film racconta il lento decadimento della protagonista, la sedicenne Jesse (interpretata da una Elle Fanning quasi elfica), all’interno del mondo della moda di Los Angeles: racconta, cioè, di una perdita di innocenza pericolosa e inesorabile, che si manifesta anche attraverso il comportamento, le parole e gli sguardi degli altri personaggi in gioco. Dalla modella plastificata che teme di invecchiare alla truccatrice respinta dalla vita, dal fotografo scollegato con la realtà allo stilista che cerca la bellezza assoluta, dall’innamorato disperato al predatore senza scrupoli: la protagonista entra in contatto con l’ambizione, la sofferenza e le speranze di chi la circonda, lasciando che l’ambiente di cui disperatamente vorrebbe far parte la cambi irrimediabilmente. I simboli utilizzati dal regista per dare forza a questo concetto non mancano: alcuni sono evidenti, altri nascosti. In ogni caso, tutte le interpretazioni arrivano a toccare e collegare elementi della religione cristiana e ispirazioni letterarie, unendo in un unico piano il ruolo del Messia e le Fiere dantesche. Queste ultime sono – nel Canto I dell’Inferno – la Lupa, la Lonza e il Leone. La Lupa, simbolo di avidità, viene incarnata dal personaggio di Sarah, modella magrissima (come magra e affamata è la fiera di Dante) che deve fare i conti con la fine della propria carriera; la Lonza, simbolo di Lussuria, è – invece –...

Golden Globes 2018: il discorso di apertura di Seth Meyers!...

I Golden Globes 2018 sono terminati da pochissime ore, lasciando spazio a critiche e considerazioni di ogni tipo: questa edizione, la settantacinquesima, è stata – infatti – caratterizzata dal movimento “Time’s Up”, che ha visto la partecipazione massiva  di praticamente tutti gli invitati, vestiti completamente di nero. Attori e attrici si sono succeduti sul palco, sottolineando la necessità di uguaglianza fra uomini e donne, ma anche fra le minoranze: non più lavori di serie A e di serie B, non più trattamenti diversi in base al sesso, alla religione, all’etnia, ma un nuovo sistema equo e giusto per tutti. La serata è stata aperta dal discorso del presentatore Seth Meyers, sceneggiatore del Saturday Night Live per oltre 10 anni e conduttore televisivo: il suo intervento, della durata di poco meno di un quarto d’ora, ha sorpreso tutti con battute divertenti, dure, ma mai troppo sopra le righe. Il presentatore ha, infatti, affrontato fin dai primi istanti il problema “abusi”, salutando “le donne e i pochi gentiluomini rimasti” e ha continuato prendendo di mira, in particolare, il pubblico maschile: niente di troppo scomodo o pesante, ma poche battute sono bastate a far capire la strategia e la posizione tenuta da Meyers nel corso di tutta la serata. Il discorso iniziale ha lasciato spazio anche a Trump (mai direttamente nominato e “tirato in ballo” per il suo scontro con la Corea del Nord), a Weinstein (“il primo professionista di Hollywood che, fra 20 anni, verrà fatto oggetto di BUUU durante il segmento in memoriam), a Spacey (preso in giro più volte nel corso dell’intervento, anche per la sua presunta incapacità di replicare un corretto accento del sud) e a Woody Allen, recentemente finito nell’occhio del ciclone per le considerazioni contenute nei suoi diari privati. Non sono...

Scandali a Hollywood: da Paul Bern al caso Weinstein...

È notizia degli ultimi giorni: Harvey Weinstein, potentissimo produttore cinematografico, è stato accusato di molestie da numerose attrici statunitensi e non, che hanno raccontato – con tristezza, ma con determinazione – delle pesanti avances ricevute durante i provini, dei rapporti a cui sono state costrette, dei commenti da bullo, delle insistenze, delle minacce e della paura. Insomma, di come uno degli uomini più importanti di Hollywood fosse solito usare la sua posizione per ottenere tutto ciò che voleva. Il caso è scoppiato come una bomba, investendo volti noti e mettendo in luce quello che sembra un vero e proprio “sistema”: Weinstein non sarebbe l’unico. Il mondo del cinema e della televisione, però, non è nuovo a questo genere di confusione: gli scandali a Hollywood si ripetono con regolarità, coinvolgendo anche le personalità più amate dal pubblico. Vediamo alcuni dei casi più noti! – Shirley Temple, Marilyn Monroe, Julie Garland e Tippi Hedren sono solo alcune delle attrici che, già in tempi non sospetti, parlavano apertamente di attenzioni non richieste e carriere minacciate. L’ultima, in particolare, si allontanò dal mondo dello spettacolo dopo le insistenti avances di Alfred Hitchcock, che – all’ennesimo rifiuto – le assicurò che le avrebbe reso difficilissimo lavorare. Lei fece spallucce e se ne andò: la storia è raccontata dal film The Girl. – Paul Bern era un potente regista, sceneggiatore e produttore hollywoodiano negli anni ’20 – ’30. Si sposò nel 1932 con la bellissima Jean Harlow, ma si uccise con un colpo alla testa circa cinque mesi dopo: il motivo del suicidio non è mai stato spiegato, ma la Harlow trovò un biglietto che recitava “Cara, carissima, purtroppo questo è il solo modo per riparare lo spaventoso torto che ti ho fatto e cancellare la mia abietta umiliazione. Ti...

Pennywise: la creatura più spaventosa di Stephen King!...

Pennywise, il clown danzante, è uno dei pagliacci più famosi della storia del cinema e della letteratura: prima fra le pagine del romanzo di Stephen King, poi nell’interpretazione di Tim Curry sul piccolo schermo, ha saputo rappresentare la paura più assoluta, il puro terrore. Lo sguardo a tratti vitreo, le espressioni sprezzanti, il tragico contrasto fra la crudezza delle immagini e l’allegria della musica da circo che l’accompagna in ogni istante… un solo personaggio è stato in grado di tormentare i sonni di grandi e piccoli per anni, diventando una vera e propria icona. Ma Pennywise non è IT: è solo una delle sue tante manifestazioni. Perché? Perché IT rappresenta tutte le paure: si trasforma, cambia essenza, modifica il suo aspetto e si adatta di continuo. Un vampiro, un licantropo, dei fantasmi, persino una mummia… Quale immagine può racchiudere tutte le precedenti, conservando lo stesso tipo di inquietante terrore? King scelse il clown. In effetti, i pagliacci sono, da sempre, piuttosto controversi: complice il trucco esagerato, le smorfie e i numeri che prevedono – spesso – cadute rovinose, litigate e finta violenza, i clown non sono mai fra i preferiti dei bambini. Se poi si torna con la memoria ai circhi più antichi e ai “freaks” (donna barbuta, donna cannone, gemelle siamesi ecc…), è ancora più facile capire perché un certo tipo di spettacolo metta irrimediabilmente a disagio il pubblico, anche oggi. Ne sa qualcosa Tim Curry: chiamato a interpretare Pennywise per la miniserie tv del 1990, l’attore si trovò improvvisamente sommerso dal trucco, costretto a rimanere in costume per ore e ore. Certo, la quantità di make up venne progressivamente ridotta (la sua incredibile espressività bastava a avanzava per ottenere l’effetto desiderato), ma difficilmente il resto del cast trascorreva del tempo con lui:...

10 curiosità sui film di Hollywood!...

Il mondo del cinema è ricco di grandi sorprese: attori che improvvisano, incidenti che diventano parte integrante del film, battute pronunciate a caso che poi diventano cult, pellicole a bassissimo costo che poi fanno il botto a livello commerciale e, al contrario, grandi produzioni che cadono nel nulla… nessuna produzione riesce a completare i lavori con il 100% di tranquillità! Ecco, quindi, 10 curiosità sui film di Hollywood! 1 – La maschera utilizzata nella saga horror di Halloween, quella – per capirci – indossata dall’assassino Michael Myers, non è una faccia bianca, ma una riproduzione del viso dell’attore William Shatner, cioè il Capitano Kirk di Star Trek! 2 – Le riprese del film Alien devono essere state davvero divertenti: basti pensare che, subito prima della famosa scena in cui l’alieno “uccide” il personaggio interpretato da John Hurt (quindi la primissima apparizione dell’antagonista principale della pellicola), nessuno aveva la più pallida idea di cosa stesse per accadere! Possiamo solo immaginare lo shock! 3 – Il ruolo di Jack Torrance, protagonista di Shining, doveva inizialmente andare a Robert De Niro. Il regista Stanley Kubrick, però, lo riteneva un po’ troppo psicopatico e troppo simile al suo personaggio di Taxi Driver, quindi spinse per passare la parte a Jack Nicholson. 4 – Il film horror “Scream” si sarebbe dovuto chiamare “Scary Movie”: anni dopo, il titolo andò alla serie di commedie demenziali che prendono di mira proprio i cliché del genere! 5 – In Jurassic Park, l’iconico verso del brontosauro venne creato mixando i versi di balene e asini! 6 – L’intero girato di 2011: Odissea nello Spazio è lungo 200 volte la durata complessiva del film uscito nelle sale. 7 – Dopo l’uscita di Top Gun, cult anni ’90 con un giovanissimo Tom Cruise, gli arruolamenti...

La Piccola Bastarda: che fine ha fatto la Porsche di James Dean?...

James Dean, morto a soli 24 anni nel 1955, è ancora oggi un’icona: di stile, sicuramente (anche grazie a lui, jeans e maglietta bianca spopolano indisturbati da oltre mezzo secolo), ma anche di “attitudine”. Con la sua faccia bellissima e squadrata, il suo sguardo a tratti trasognato, il suo indiscusso talento, le sue foto private che rivelano un animo profondo, le intense passioni per tutto ciò che è arte e la sua affascinantissima vena ribelle, è ancora oggi – per tanti – un modello da imitare, raggiungere, superare. Parte del suo essere ribelle si esprimeva anche con le auto: le sue preferite, le Porsche, lo accompagnarono per tantissimi anni e una di loro, la Piccola Bastarda, ne segnò anche la fine. Ma chi era la Piccola Bastarda? Era una meravigliosa Porsche 550 Spyder color argento, lunga, lunghissima, senza tettuccio: praticamente un missile, sia per linee che per velocità (220 Km/h con un passaggio da 0 a 100 in 10 secondi. Nel 1955…). Dean l’acquistò nel ’55, abbandonando la precedente 356 bianca: nemmeno il tempo di staccare l’assegno che l’auto finì a George Barris, famoso per aver progettato e prodotto alcune delle auto cinematografiche più famose di sempre (la macchina dei Flinstones, la Batmobile, il Generale Lee…). Barris gliela modificò, la rese ancora più aggressiva, perfetta per quelle gare su strada che la Warner Bros. aveva espressamente vietato a Dean, almeno durante le riprese. Dopo le modifiche, Barris gliela riconsegnò, manifestando un brutto presentimento: la Piccola Bastarda, soprannome scelto direttamente dall’attore, l’avrebbe fatto finire male. Il 30 settembre del ’55, la profezia si avverò. Mentre si trovava in auto, sulla sua Little Bastard, in compagnia di un amico, un’auto proveniente dalla direzione opposta non rispettò una precedenza, prendendoli in pieno: sulla Statale 46, in direzione...

The Black List: spazio agli scrittori...

The Black List è un progetto dal nome oscuro e un po’ inquietante, ma dai risultati incredibili: nasce nel 2005 per opera di Franklin Leonard, un executive della grande industria cinematografica hollywoodiana che decide di iniziare una ricerca fra gli addetti ai lavori, chiedendo ai suoi colleghi di votare tutte quelle sceneggiature che non ce l’avevano fatta a diventare film veri e propri. Pellicole di ogni genere, lasciate a metà per mancanza di un produttore o per l’assenza di un regista… script belli, bellissimi, ma purtroppo abbandonati: l’idea era quella di rimettere sotto i riflettori l’importanza di una buona storia, dando slancio al settore degli scrittori. Nel 2005 a votare erano meno di 100, oggi sono quasi 500: executive di piccoli studi e professionisti delle major che leggono le sceneggiature (di solito, del genere di loro competenza) e danno un voto che va da 1 a 10. The Black List raccoglie i risultati, li somma e restituisce una sorta di scaletta annuale, che indica i preferiti: delle oltre 1000 pellicole recensite e votate negli ultimi 12 anni, quasi un terzo è stato poi effettivamente prodotto. Oltre 300 pellicole in totale, capaci di raccogliere oltre 25 miliardi di dollari nel mondo e più di 260 nomination all’Oscar: ne hanno vinti 48, compresi Miglior Film e Miglior Sceneggiatura. I casi più eclatanti comprendono Il Discorso del Re, Argo, Il Caso Spotlight e The Imitation Game (il più votato di sempre), ma ogni anno questa particolare ricerca mette in luce titoli davvero incredibili. Qualche esempio? Nel 2005, in lista finirono Blood Diamond, Juno, Little Miss Sunshine, The Prestige, Nebraska e Zodiac (oltre ai vari X-Men e Fast and Furious); nel 2006, Quel treno per Yuma, In Bruges, Changeling, Frost/Nixon, Scott Pilgrim Vs. The World, Sette Anime; nel...