SIMMETRIA, PUNTO DI FUGA, SUSPENCE E CITAZIONE: 4 REGISTI E LA LORO FIRMA Giu03

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SIMMETRIA, PUNTO DI FUGA, SUSPENCE E CITAZIONE: 4 REGISTI E LA LORO FIRMA

Cosa notiamo di solito in un film? La recitazione degli attori coinvolti, una storia avvincente, convincente, emozionante, una colonna sonora che ci travolge nel mezzo di una scena particolarmente importante, la battuta perfetta al momento giusto…. eppure, a volte dimentichiamo che, se un film funziona, è anche, e soprattutto, merito del regista. I registi dirigono, muovono le pedine, cambiano la prospettiva, spesso ingannano il loro pubblico, rimanendo sempre, perfettamente, nascosti. O quasi.
Ogni regista ha il suo stile, qualcosa che lo identifica e lo rende apprezzabile: esistono, però, registi un po’ più identificabili di altri, famosi per la cura riservata a determinati dettagli o passati alla storia per aver inventato punti di vista del tutto nuovi.
Qualche esempio?

WES ANDERSON

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Nato nel 1969, Wesley “Wes” Anderson è un regista, uno sceneggiatore ed un produttore statunitense. Realizza il suo primo film nel 1996, ottenendo da subito quel grande successo di critica e pubblico che ancora oggi lo accompagna ad ogni nuova pellicola: Un colpo da dilettanti, Rushmore, I Tenenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Il treno per il Darjeeling, Fantastic Mr. Fox, Moonrise Kingdom e Grand Budapest Hotel. Ciò che accomuna tutti i suoi film, oltre al ritorno ciclico di determinati attori (fra cui gli ormai mitici Bill Murray, Owen Wilson, Adrien Brody e Jason Schwartzman) ed il ruolo centrale della colonna sonora (David Bowie, Nico, Velvet Underground, ma anche Seu Jorge, autore delle musiche per Steve Zissou), è la presenza quasi ossessiva di inquadrature perfettamente simmetriche. La simmetria attraversa trasversalmente tutte le opere di Anderson, contribuendo a quell’atmosfera un po’ artificiale che spesso si incontra nelle scene più diverse: una stanza, la hall di un albergo, un campo aperto, una tenda da campeggio, un pulmino della scuola, un personaggio ripreso frontalmente, un personaggio ripreso di spalle… tutto è perfettamente divisibile a metà.
Come in questo video.

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L’armonia, la geometria, la pulizia dell’immagine sono segni distintivi di un regista (da alcuni definito “pop”) che si ama o si odia.
Le sue influenze? Truffaut, Huston, Ashby e… Kubrick.

 

STANLEY KUBRICK

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Stanley Kubrick è stato un regista, uno sceneggiatore, un produttore, un direttore della fotografia, un montatore, uno scenografo, un creatore di effetti speciali ed un fotografo geniale, capace di riscrivere le regole, fra gli altri, del noir, del thriller, del peplum, della fantascienza, dell’horror e del genere di guerra. 13 film per 13 candidature ai Premi Oscar: ne vinse solo uno, per gli effetti speciali, nel 1969.
Paura e Desiderio, Il bacio dell’assassino, Rapina a mano armata, Orizzonti di gloriaSpartacus, Lolita, Il Dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba, 2001: Odissea nello spazio, Arancia Meccanica, Barry Lyndon, Shining, Full Metal Jacket ed Eyes Wide Shut: pellicole fondamentali per la cinematografia mondiale, che decretarono il successo di uno dei registi più ammirati di sempre e lanciarono, o consolidarono, le carriere di tanti attori (Malcolm McDowell, Jack Nicholson e Matthew Modine sono tre degli interpreti che vengono citati più spesso nelle discussioni che riguardano il lavoro di questo regista).
Cosa caratterizza lo stile di Kubrick? L’uso del punto di fuga: scene con un punto centrale molto forte, verso il quale convergono tutte le linee caratterizzanti della ripresa.

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Il labirinto in Shining, i corridoi in cui Danny e Jack Torrance corrono e  si scontrano, gli ascensori che si spalancano per riversare ondate di sangue sullo spettatore, gli spazi dell’astronave Discovery One, i dormitori in cui Palla di Lardo e Joker smontano e rimontano fucili, aspettando di essere spediti nel Vietnam… il senso di oppressione e di inquietudine che si prova guardando una delle pellicole di Kubrick spesso deriva proprio da questa tensione costante verso un centro più o meno lontano e irraggiungibile.

 

ALFRED HITCHCOCK

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Ne “Il piacere degli occhi”, Truffaut definisce “abbagliante” la filmografia di Alfred Hitchcock, regista e produttore britannico, morto nel 1980 dopo una carriera davvero incredibile: ben 54 film, dall’epoca del muto agli anni ’70. 23 film nel periodo inglese (1925 – 1940) e 30 pellicole nel periodo americano (1940 – 1976) fecero di Hitchcock una delle personalità più importanti del cinema internazionale, assicurandone per sempre il mito: registi del calibro di Martin Scorsese, Steven Spielberg, Woody Allen, Tim Burton, Dario Argento e Brian De Palma non hanno mai nascosto l’incredibile influenza esercitata sui loro lavori dal “maestro del brivido”. Fra i suoi film più famosi ed apprezzati si possono citare Notorious, La Finestra sul Cortile, Psyco, Gli Uccelli, L’altro uomo, Intrigo Internazionale, Rebecca, La donna che visse due volte… tutti caratterizzati da un effetto particolare: la suspence. Hitchcock disse: “Il pubblico cerca sempre di anticipare. Gli piace dire: “Ah, io so cosa succederà adesso”. Non soltanto bisogna tenerne conto ma occorre pilotare rigorosamente i pensieri degli spettatori. Il regista è costretto a raccogliere la sfida: “Ah sì? Credete? Lo vedremo”. La sorpresa, la tensione, l’angoscia, l’inaspettato: il pubblico deve essere tenuto sempre sul filo del rasoio, deve essere costretto ad identificarsi con i personaggi, ritrovandosi intrappolato in un tempo artificiale che si contrae e si dilata in modo imprevedibile.

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Ecco, quindi, le scene oniriche, fatte di contrasti forti, sovrapposizioni e trasparenze, di una bidimensionalità che improvvisamente viene rimpiazzata da una profondità quasi eccessiva: le case piatte e quasi anonime che James Stewart si trova a scrutare dalla sua finestra sul cortile diventano improvvisamente vive, quando l’atmosfera irreale ed artificiale viene squarciata dalle grida di una vicina, che ha ritrovato il suo cane assassinato. Lo spettatore viene costantemente messo alla prova e ingannato, protagonista di scene assolutamente innovative: famoso è il così detto “effetto Vertigo“, che Hitchcock riuscì ad ottenere coniugando una veloce carrellata in avanti ed uno zoom indietro, ponendo le basi per effetti speciali utilizzati ancora oggi.

 

QUENTIN TARANTINO

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“Il mio cinema o si ama o si odia.” Lo sa anche lui: Quentin Tarantino, classe 1963, regista, sceneggiatore, produttore ed attore statunitense, famoso per le pellicole “pulp”, ricche di dialoghi memorabili, scene di lotta e violenza e lunghi, lunghissimi piani sequenza. Una carriera che parte in modo esplosivo, con il bellissimo Le Iene, in grado di creare un vero e proprio linguaggio nuovo ed irriverente, e che continua con una serie di “piccoli” capolavori, fra cui Pulp Fiction, Jackie Brown, Kill Bill, Bastardi Senza Gloria e Django Unchained.
Tarantino è famoso anche per la sua passione per il cinema, che lo ha portato a conoscere ed ispirarsi ai generi ed ai registi più diversi: B movie, exploitation, cinema d’autore italiano (Leone, Argento, Bava, Fulci, Castellari) e le pellicole di Brian De Palma, John Woo, Corman, Godard, Scorsese, Fincher, Luc Besson, Robert Rodriguez,Takashi Miike ed il coreano Park Chan-wook, regista di Old Boy. Questa enorme conoscenza si traduce con le citazioni che il regista inserisce in praticamente tutte le sue pellicole, creando ponti e collegamenti con altri suoi film (i suoi personaggi fumano tutti Red Apple e mangiano al Big Kahuna, due marche inventate dallo stesso Tarantino) o con le opere di altri registi, da lui profondamente ammirati.

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Come mai il suo cinema si ama o si odia? Proprio per questo motivo: il pubblico si divide fra chi riconosce e apprezza le citazioni, trasformando ogni visione in una vera e propria caccia al dettaglio, e chi, invece, accusa il regista di non essere originale e di essersi costruito una fama sulle idee degli altri. In realtà, la tecnica della citazione è tipica di diversi movimenti artistici (letteratura postmoderna o avantpop) e Tarantino  in persona non ha mai negato tutti i suoi riferimenti, dandosi meriti o paternità false: citando Picasso ha, anzi, più volte affermato, in modo un po’ provocatorio, che “i grandi artisti non copiano, rubano“.