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Vicolo Bagnera: la strada più misteriosa di Milano

Vicolo Bagnera – la via più stretta di Milano – è un passaggio piccolo e lugubre, oggi popolato da graffiti, murales e scritte irriverenti: situato nei pressi di Via Torino, la sua sola apparenza basterebbe ad eleggerlo a set ideale per un thriller o un giallo, ma la sua storia – che affonda le radici nell’800 – rende ancor più difficile passare per questa viuzza senza provare un po’ di disagio.
La “Stretta” Bagnera è – infatti – teatro degli omicidi di uno dei primi serial killer della nostra storia: Antonio Boggia, il Mostro di Milano.

Antonio Boggia: la storia

Di Antonio Boggia e della sua vita tormentata si conoscono diversi dettagli: l’uomo sarebbe nato a fine ‘700 a Urio (in provincia di Como) e sarebbe entrato in conflitto con la giustizia già intorno ai vent’anni. All’epoca, quello che era ancora un ragazzo cominciò a farsi conoscere dalle autorità per piccole truffe e cambiali non onorate, tentando di sfuggire alle conseguenze delle sue azioni con vari trasferimenti: si spostò prima nel Regno di Sardegna, dove venne accusato di tentato omicidio a seguito di una rissa, per poi tornare nel Lombardo Veneto, con la speranza di poter ricominciare da capo. Qui, a Milano, riuscì a ottenere un impiego come fochista, grazie anche alla sua conoscenza della lingua tedesca, e a sposarsi: nel 1831, l’uomo si trasferì in Via Nerino, in un palazzo di proprietà di Ester Maria Perrocchio.

Vicolo Bagnera e Via Nerino sono strade perpendicolari.

Antonio Boggia e Vicolo Bagnera

Antonio Boggia e Vicolo Bagnera

La scia di omicidi di Antonio Boggia cominciò ufficialmente nel 1846: la prima vittima fu Angelo Ribbone, derubato, ucciso e nascosto nello scantinato di Via Bagnera; quindici anni dopo circa, a contattatare i Carabinieri fu il figlio dell’allora 76enne Ester Perrocchio.
Le autorità scoprirono non solo che non c’era modo di ritrovare la donna, ma che circolava anche una procura falsa, grazie alla quale il Boggia era diventato amministratore dell’intero stabile.
A quel punto, alcuni testimoni iniziarono a farsi avanti, sostenendo di aver visto l’uomo armeggiare con strumenti da muratore proprio fra quelle vie: le perquisizioni successive tolsero ogni dubbio.
Il corpo della Perrocchio venne ritrovato, insieme ad altre due procure false: una di Angelo Ribbone (scomparso come abbiamo visto molti anni prima), l’altra di Pietro Meazza, un ferramenta che apparentemente aveva lasciato tutte le sue attività al Boggia.

Gli investigatori trovarono, seppelliti, tre corpi: la Perrocchio, il Ribbone e… Giuseppe Marchesotti, commerciante irrintracciabile da diverso tempo.

Antonio Boggia, messo alle strette, tentò di fingersi pazzo, ma al termine del processo il verdetto fu senza scampo: pena di morte per impiccagione.
La sentenza venne eseguita l’8 aprile del 1862 e fu l’ultima condanna a morte della città fino alla Seconda Guerra Mondiale.
Piccola curiosità macabra: il corpo del killer venne seppellito, ma la testa venne inviata a Cesare Lombroso, attivo in quegli anni nelle controverse ricerche alla base dell’antropologia criminale.

E Vicolo Bagnera?
In tanti sostengono che per la viuzza si aggiri ancora lo spirito di Antonio Boggia: è possibile percepire la sua presenza ogni volta che si mette piede in quella stretta, perché si presenta immancabilmente un alito di vento gelido.