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UNA MALEDIZIONE È PER SEMPRE (?): MALEDIZIONI FAMOSE, MITI E LEGGENDE DI CHI HA AVUTO VERAMENTE TANTA SFORTUNA.

Le maledizioni famose sono davvero tante e coinvolgono settori e protagonisti molto diversi: lo sport, lo spettacolo, la musica, la politica e la storia… praticamente nessuno è escluso.
Ma cos’è esattamente una maledizione? Sul vocabolario Treccani troviamo questa definizione: “L’atto e le parole con cui si maledice, con cui cioè s’invoca su individui, gruppi, città, ecc. la condanna e la punizione della divinità.”, ma anche “Lo stato stesso di disgrazia e di esecrazione in cui si trova chi è stato maledetto”. Un solo termine comprende chi la maledizione la lancia e chi la subisce.
Nei casi più noti, l’origine della condanna non è sempre conosciuta, mentre sono sempre ben in vista le povere vittime… Qualche esempio?

1 – IL BENFICA E BELA GUTTMAN
Il Benfica è la squadra di calcio portoghese che ha vinto in assoluto di più: trenta titoli nazionali, venticinque Coppe, tre Supercoppe del Portogallo e cinque coppe di Lega ne sono una prova. Anche a livello internazionale si è saputa difendere, portando a casa due Coppe dei Campioni (giocando sette finali) e una Coppa Latina. Tantissimi grandi giocatori sono passati da questo team, anche se il più conosciuto ed amato resta Eusébio, Pallone d’oro nel 1965.
Béla Guttman (1899 – 1981) è stato un calciatore e poi allenatore ungherese: giocò per il MKT Budapest, lo Hakoah di Vienna, numerosi club statunitensi e la Nazionale Ungherese, mentre allenò squadre fortissime, come il Milan, il San Paolo, il Porto, il Peñarol e, appunto, il Benfica. Fu proprio lui a far vincere al team portoghese le due Coppe dei Campioni, nel 1961 e nel 1962.
Ma il rapporto fra la società e l’allenatore non fu sempre rose e fiori: dopo i grandi successi raccolti a inizio anni ’60, Guttman richiese un aumento di stipendio. Considerati i risultati, un compenso maggiore sarebbe stato anche giustificato, ma la dirigenza si rifiutò di accordargli un aumento e l’allenatore se ne andò sbattendo la porta e, si dice, pronunciando un vero e proprio anatema: “D’ora in avanti il Benfica non vincerà più una coppa internazionale, per almeno 100 anni”. Fin qui tutto bene, non fosse che, effettivamente, da quel giorno, il Benfica ha perso ben 8 finali europee consecutive, alcune in modo davvero beffardo: nel ’68 perse ai supplementari contro il Manchester, nel 1988 perse ai rigori contro il Psv Eindhoven, nel 2013 perse all’ultimo minuto con il Chelsea e di nuovo ai rigori contro il Siviglia quest’anno. Sono infiniti i pellegrinaggi di tifosi che si recano sulla tomba di Béla Guttman chiedendo una grazia: il più famoso fu proprio Eusébio, che nel 1990 andò inutilmente a pregare il suo ex allenatore di fargli vincere la Coppa dei Campioni contro il Milan.
Si accettano scommesse: il Benfica resterà davvero senza titoli per altri 48 anni?

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2 – GLOOMY SUNDAY: LA CANZONE DEL SUICIDIO
Gloomy Sunday
è una canzone molto bella, scritta dall’ungherese László Jávor e musicata da Rezső Seress nel 1933: ne esistono tantissime versioni, fra cui quella bellissima cantata da Billie Holiday, ma anche quelle di Bjork, Sam Lewis, Diamanda Galas e l’italiana Norma Bruni.
La canzone è lenta, malinconica ma meravigliosa, e gli interpreti sono di grande livello… dov’è il problema?
Il problema sarebbe proprio la canzone: il testo è triste, parla di un amore ormai finito e di un ricongiungimento con la persona amata possibile solo con la morte. Chi soffre non ha consolazioni e perfino la natura sembra partecipare alla disperazione degli innamorati. Il tema del suicidio è, quindi, alla base del pezzo, nato dalla malinconia di Seress, che all’epoca vedeva tutti i suoi sforzi per sfondare nel mondo della musica fallire uno dopo l’altro. Questo almeno fino a Gloomy Sunday: i produttori parigini la apprezzarono decretandone, finalmente, il successo.
Ma, contemporaneamente, iniziarono a capitare anche strani incidenti ed eventi tragici.
A Berlino, una giovane si sparò un colpo di pistola alla testa, si dice, dopo aver ascoltato questo brano; una giovane commessa, forse sua conoscente, si impiccò nella stessa città poco dopo, e accanto al suo corpo venne trovato lo spartito di Seress; una giovane segretaria newyorkese si suicidò col gas: anche in questo caso trovarono lo spartito e nella lettera d’addio fu lei stessa a richiedere Gloomy Sunday come marcia funebre. In Gran Bretagna, una donna venne ritrovata morta, vittima dei barbiturici, ed alcuni dissero di aver trovato lo spartito di Seress accanto al corpo; a Roma una ragazza si gettò da un ponte e perfino un uomo di 82 anni pose fine alla sua vita dopo aver ascoltato questa canzone. Seress si suicidò nel 1968 e lo stesso tentò di fare anche la sua amata. Una serie così incredibile di eventi fa, ovviamente, pensare che ci sia qualcosa di strano nelle indagini: resta il fatto che già nel 1941, la BBC rifiutò di mandare in onda la versione della Holiday, ritenuta troppo deprimente considerato il periodo storico (Londra era vittima dei bombardamenti tedeschi).
Un ultimo elemento per chiudere il cerchio? Norma Bruni, l’interprete italiana di Gloomy Sunday, rimase dimenticata fino al 1970, quando Maurizio Corgnati la invitò alla trasmissione televisiva “Gli amici del bar”. In quell’occasione la Bruni cantò “Triste Domenica”: uscita dagli studi ebbe un malore e, dopo due settimane di coma, morì. Era il 3 gennaio del 1971, la prima domenica dell’anno.

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3 – L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI KENNEDY
La famiglia Kennedy è stata vittima nel corso degli anni di una serie di tragici incidenti, omicidi e malattie: una sequenza così impressionante di morti premature ed eventi dolorosi da far nascere la convinzione che su quella famiglia sia stata lanciata una vera e propria maledizione. John Fitzgerald Kennedy ed il fratello Robert Kennedy vennero uccisi a 5 anni di distanza l’uno dall’altro: JFK venne assassinato durante un viaggio a Dallas nel 1963 (la sua morte fu così inaspettata, violenta e triste per il popolo americano da far diventare la domanda “Dov’eri quando hanno sparato a Kennedy?” un vero e proprio tormentone, durato decenni), mentre Robert venne colpito da diversi colpi di pistola sotto gli occhi dei giornalisti dopo un incontro con i suoi sostenitori, morendo il giorno dopo in ospedale. Era il 6 giugno del 1968. John Kennedy Jr. morì in un incidente aereo insieme alla moglie ed alla cognata nel 1999, Michael Kennedy morì per le conseguenze di un incidente sugli sci, David Kennedy morì di overdose (nel ’68, a soli 13 anni, aveva assistito in diretta alla morte del padre Robert, rimanendone comprensibilmente segnato a vita), Joseph Patrick Kennedy Jr. morì in un incidente aereo in guerra e sempre in un incidente aereo morì anche Kathleen Agnes Kennedy. Ted Kennedy sopravvisse a due incidenti gravi, mentre Rosemary Kennedy venne fatta lobotomizzare di nascosto dal padre, che la riteneva troppo ribelle. All’interno della famiglia sono, poi, numerosissimi i problemi di droga e le accuse penali.

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4 – ATUK: LA SCENEGGIATURA CHE NESSUNO DEVE PRODURRE
Atuk
, che in Inuit significa “nonno”, è il titolo di una sceneggiatura cinematografica mai realizzata, che negli anni avrebbe portato sfortuna ad una serie abbastanza impressionante di attori: la storia si ispira ad un romanzo satirico e dovrebbe dare vita ad una interessante e divertente commedia… peccato sembri proprio impossibile realizzare qualsiasi progetto. Il primo ad interessarsi alla trama fu il mitico John Belushi, il Jake Blues dei Blues Brothers, il Bluto di Animal House, comico meraviglioso e cantante dotato: morì di overdose nel 1982, poco dopo aver letto la sceneggiatura. Qualche tempo dopo, Sam Kinison, comico sagace dai monologhi dedicati per lo più all’attualità, accettò il ruolo di protagonista e richiese una riscrittura del copione: i tempi si dilatarono, i costi salirono vertiginosamente e del film non se ne fece più nulla. Kinison morì prematuramente nel 1992. Nel 1994 la palla passò a John Candy, mitico attore di tantissime pellicole anni ’80/’90 (anche lui compare nei Blues Brothers): prima dell’inizio delle riprese, Candy morì per un attacco di cuore, seguito pochi mesi dopo da Michael O’Donoghue, che aveva lavorato su Atuk, convincendo prima Belushi e poi Candy ad interessarsene.
Il film venne definitivamente bollato come “maledetto” e i produttori smisero di occuparsene dal 1997, quando anche Chris Farley, in trattative per il ruolo di protagonista, morì di overdose.
L’ultimo nome ad essere ricollegabile a questa vicenda è quello di Phil Hartman: amico stretto di Candy, aveva iniziato a leggere la sceneggiatura, quando la moglie lo assassinò. Era il 1998.

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Tutti questi eventi possono essere spiegati in modi decisamente più razionali della classica “maledizione”: omicidi e suicidi non possono dipendere solo da un anatema, così come non possono essere considerate accidentali le varie overdose che hanno colpito i diversi personaggi coinvolti in queste vicende. Resta, però, fortissimo il fascino del mistero, dell’inspiegabile, del “non è vero, ma ci credo” legato indissolubilmente a queste quattro leggende metropolitane, segnate, questo è sicuro, da una buona dose di sfortuna.