L’ultima stagione di Stranger Things ha riproposto un grande classico cinematografico degli anni ’80, decennio in cui il confronto e le rivalità fra USA e URSS hanno fatto da sfondo a quasi tutti i lungometraggi action, dai più ai meno trash: spionaggio via radio, realizzato con messaggi cifrati che viaggiano su onde corte. Frasi all’apparenza senza senso, che possono essere decifrate solo dai destinatari designati… più o meno. Insomma, nei film questi messaggi vengono sempre compresi senza troppi problemi, ma stiamo pur sempre parlando di Hollywood! Nel mondo reale, però, esistono dei canali radio accusati ripetutamente di essere mezzi di comunicazione fra e per spie: si tratta delle Number Stations. Le Number Stations sono trasmissioni in onde corte, difficilissime da localizzare e capaci di raggiungere quasi ogni punto del pianeta: non hanno bisogno di ripetitori, perché è lo strato più alto dell’atmosfera a rifletterle e propagarle. La loro natura le rende perfette per l’invio di messaggi, avvisi e ordini: possono essere captate da normalissime radio, ma non prevedono – o sostengono – una interazione. A renderle così interessanti, però, è il tipo di codici trasmessi. Le stazioni, infatti, si possono dividere in quattor gruppi: – Number Stations in fonia, caratterizzate da voci reali o sintetizzate che pronunciano in sequenza numeri, parole o lettere dell’alfabeto fonetico. Le voci sono solitamente femminili (meno di frequente maschili o addirittura infantili) e possono utilizzare diverse lingue: le più comuni sono spagnolo e inglese, ma non mancano francese, italiano e lingue slave; – Number Stations in codice morse; – Number Stations con suoni all’apparenza privi di significato (sono dette anche Noise Stations); – Number Stations con nastri musicali trasmessi al contrario. Ogni trasmissione viene preceduta da un suono iniziale, da un brano musicale, da una parola nota e termina...
Yurei: il culto dei morti in Giappone...
Nel nostro blog abbiamo già parlato della mitologia giapponese, nominando – fra gli altri – anche gli Yurei, gli spiriti dei defunti. Il loro ruolo è fondamentale nella tradizione nipponica e deriva da un culto molto profondo, tramandato di generazione in generazione: vediamolo nel dettaglio! Yurei: cosa succede agli spiriti dei defunti? Secondo un’antica tradizione giapponese, dopo la dipartita, lo spirito di un defunto – chiamato Reikon – rimane 49 giorni nei pressi del luogo della morte, attendendo il proprio destino: se i riti funebri vengono svolti correttamente e non persistono legami con i vivi, l’anima può continuare il proprio percorso, raggiungendo gli antenati nell’aldilà. Potrà tornare a visitare i vivi una volta l’anno, ad agosto, in occasione della festa di Obon. Quando, però, questo passaggio non viene assicurato, i funerali non vengono svolti o persistono stretti legami che ancorano lo spirito al mondo dei vivi (il defunto non ha, per esempio, portato a termine i suoi compiti e sente l’obbligo morale, detto ON, di rimanere sulla Terra), il Reikon diventa Yurei, un vero e proprio fantasma che può infestare persone, luoghi e cose. Capelli neri, un’ampia veste bianca, braccia tese ma mani penzoloni e alcune fiammelle blu che li accompagnano ovunque, gli Yurei non sono né buoni né cattivi, ma si rivolgono ai vivi per cercare aiuto: sono il risultato di una morte violenta (e in quel caso potrebbero tormentare gli assassini) e di forti emozioni che li tengono intrappolati. Invocazione ed esorcismo Invocare la presenza di un Yurei non è difficile. Secondo la tradizione, infatti, basta partecipare al “gioco” Hyakumonogatari Kaidankai: ci si riunisce in gruppo e, a turno, si racconta una storia horror, spegnendo al termine una candela (o una fonte di luce). Quando l’ultima luce sarà spenta, il fantasma si...
Black Knight: satellite o detrito?...
L’11 dicembre del 1998, l’astronauta Jerry Ross si trovava all’esterno dello Space Shuttle Endeavour, impegnato nelle attività necessarie per collegare il modulo statunitense Unity a quello russo Zarja e iniziare, così, ad assemblare la ISS, la Stazione Spaziale Internazionale. Il lavoro svolto all’esterno della cabina prevedeva anche l’isolamento di alcuni perni metallici con una coperta termica: durante l’operazione Ross perse, però, la presa sul rivestimento, che cominciò ad allontanarsi lentamente dal nucleo della stazione, fluttuando. Gli astronauti rimasti sullo Shuttle scattarono immediatamente alcune foto dell’oggetto, discutendo anche sulla possibilità di recuperarlo: l’idea venne scartata e la coperta venne classificata come “detrito” in orbita intorno alla Terra. La serie di fotografie, però, mostrava qualcosa di strano: in alcune immagini, infatti, la coperta in controluce era completamente nera e i riflessi del sole la facevano quasi sembrare metallica. Gli ufologi si concentrarono in modo particolare proprio su queste istantanee, dando vita alla leggenda del Satellite Black Knight. Black Knight: fra realtà e speculazioni A supportare la teoria secondo la quale quelle foto mostrerebbero un satellite extraterrestre in orbita attorno al nostro pianeta ci sarebbero almeno due storie, molto precedenti al 1998. Nel 1954, infatti, il ricercatore di UFO Donald Keyhide divenne famoso raccontando che l’Air Force aveva individuato due satelliti di origine sconosciuta in volo attorno alla Terra: all’epoca, non esistevano ancora dispositivi terrestri e la notizia fece – a suo modo – scalpore. Pochi anni dopo, nel ’60, fu la Marina a diventare protagonista di un rilevamento interessante e misterioso: la US Navy, infatti, avvistò un oggetto nero volare a un’orbita di 79° rispetto all’Equatore, tenendo una traiettoria piuttosto strana e un periodo orbitale di circa 104 minuti. La scoperta venne, però, giustificata sostenendo si trattasse di uno dei frammenti del Discoverer VIII, lanciato senza...
Il mistero della SS Ourang Medan...
I misteri marittimi, per quanto terribili come la storia che racconteremo fra poco, conservano sempre un certo fascino: sembra quasi che il mare riesca a tenere per sé dei segreti impossibili da scoprire e che – per questo motivo – ci attiri nonostante il freddo, l’isolamento, la morte. Ed è proprio di morte che si parla quando si fa riferimento alla SS Ourang Medan, una nave mercantile olandese che, negli anni ’40, avrebbe subito un tragico destino. Giugno 1947. Due navi statunitensi, la “Città di Baltimora” e la “Silver Star” stanno navigando nello stretto di Malacca quando riescono a intercettare un messaggio proveniente dalla SS Ourang Medan (il nome deriva, probabilmente, dall’indonesiano e potrebbe essere tradotto con “Uomo di Medan”, la città più grande dell’isola di Sumatra). Il messaggio, in Morse, è inquietante: “Tutti gli ufficiali, tra cui il capitano della nave e l’equipaggio intero, giacciono morti in sala nautica e sul ponte. Forse su tutta la nave non restano superstiti… Anche io sento arrivare il mio momento, aiutatemi“. La prima imbarcazione a raggiungere la nave olandese e la Silver Star: a chi giunge sul ponte si presenta una scena terribile. L’intero equipaggio giace morto a terra, i corpi sono disseminati ovunque. Non ci sono segni di lotta, non c’è confusione, sui cadaveri non ci sono elementi che facciano pensare ad aggressioni violente, ma il volto di quasi tutti è segnato dal terrore, alcuni hanno anche le braccia tese verso l’alto, come a cercare aiuto. La Silver Star fa l’unica cosa possibile: aggancia la SS Ourang Medan e cerca di trainarla verso il porto più vicino, nella speranza che delle indagini possano spiegare cosa sia effettivamente successo sulla nave. Durante il trasporto, però, qualcosa di strano accade: il mercantile olandese prende fuoco e affonda...
Brian Jones e Jim Morrison: il mistero del 3 luglio...
Brian Jones e Jim Morrison, rispettivamente fondatore e chitarrista dei Rolling Stones e fondatore e cantante dei The Doors, sono accomunati da più di un elemento: entrambi appassionati di musica, entrambi geniali, entrambi noti per il carattere un po’ difficile, entrambi morti – a 27 anni – in circostanze sospette. Entrambi nella notte fra il 2 e il 3 luglio (’69 per Jones e ’71 per Morrison). BRIAN JONES Il 2 luglio del 1969, Brian Jones si trovava a Cotchford Farm, la sua residenza dell’East Sussex originariamente appartenuta ad A. A. Milne, papà di Winnie The Pooh: con lui c’erano la fidanzata Anna Wohlin, l’imprenditore edile Frank Thorogood e la sua presunta ragazza Janet Lawson, di professione infermiera. Thorogood si occupava da diverso tempo, a rilento e non senza problemi, della ristrutturazione della casa e – per gestire al meglio i lavori – viveva sopra il garage: i rapporti con Jones si stavano facendo progressivamente più complicati, un po’ per colpa degli interventi non sempre eseguiti al meglio, un po’ per colpa dello stesso musicista, noto per il caratteraccio. Il chitarrista, infatti, alternava senza una vera motivazione stati di calma e allegria e stati di agitazione, con uscite arroganti e violente – psicologicamente e verbalmente – nei confronti in particolare delle donne: la difficoltà a relazionarsi, l’ansia, la paranoia e l’insicurezza avevano determinato alla fine anche l’espulsione di Jones dagli Stones, avvenuta in via ufficiale il 9 giugno precedente. Alle 22.30 di quel 2 luglio, quindi, Brian e Anna stavano guardando la televisione, quando Jones aveva deciso di chiamare gli altri due coinquilini per un drink a bordo piscina: i quattro alternarono brandy, vodka e whisky. Jones assunse anche degli ansiolitici. Intorno a mezzanotte, il chitarrista aveva proposto un tuffo in piscina: l’unico ad...
Hum: il ronzio che fa impazzire il 2% della popolazione...
Vi sarà forse capitato in passato di sentire la parola Hum, magari senza indagare ulteriormente il suo significato. Forse, vi sarà capitato di vedere anche dei video o ascoltare dei clip audio dedicati proprio a questo fenomeno, senza però farvi ulteriori domande. Eppure, questa strana “manifestazione” turba le notti di un gruppo piuttosto ampio di persone: si parla di una percentuale che oscilla fra il 2 e il 4% della popolazione mondiale. Cos’è, però, l’Hum? Si tratta di un ronzio basso e continuo, di una sorta di vibrazione, di un suono martellante che potrebbe essere paragonato a quello di una macchina accesa, che non va mai via: è percepibile in particolare dentro casa, più forte e persistente nelle ore notturne, preferibilmente in zone lontane dai grandi centri, come aree rurali e suburbane. La sua prima comparsa, o almeno i primi report della sua esistenza, risalgono ad almeno 40 anni fa, con denunce effettuate – in particolare – in Gran Bretagna, dove il fenomeno è massiccio ancora oggi, Stati Uniti e Australia: famosi sono gli episodi di Bristol negli anni ’70, New Mexico nei primi anni ’90 e Windsor, Ontario, a partire dal 2011. In tutti e tre i casi, parte della popolazione ha denunciato la presenza di una vibrazione sorda insopportabile, tanto persistente da dare vita a ricerche sul campo, poi terminate con un nulla di fatto. Perché ancora oggi non è sicura l’origine di questo ronzio: se è vero che la maggior parte delle “registrazioni” avviene di notte, in campagna, è anche vero che in molti continuano a percepire questo suono anche di giorno, anche in città, anche fuori casa. Sembra quasi che l’Hum colpisca persone diverse in modo diverso, rendendo ancora più difficile creare una precisa casistica. Ad oggi, le possibili cause...
Jonestown e fanatismo: la fine del Tempio del Popolo...
“Jonestown” è il nome con cui veniva generalmente chiamato il Progetto Agricolo del Tempio del Popolo, una comunità fondata da Jim Jones nella Guyana nordoccidentale. Quello del Tempio del Popolo era un movimento di volontariato che univa elementi religiosi a elementi politici di stampo socialista: fondato ufficialmente nel 1955 in Indiana, si era trasferito prima in California (nel 1965) e poi, con il crescere degli adepti e delle accuse di promiscuità e attività politica segreta, in Sudamerica. In realtà, almeno nella sua premessa, l’idea di Jones era un’idea positiva e innovativa, decisamente “avanti” per l’epoca: si trattava di una comunità unita, dove non c’era razzismo e dove, forse per la prima volta in quegli anni così difficili e controversi, si tentava una seria integrazione razziale, promuovendo la tolleranza e la fratellanza. Lo stesso Jones aveva adottato con la moglie bimbi di diverse origini ed etnie, creando una famiglia allargata davvero esemplare. Con l’andare del tempo, però, il progetto si era evoluto seguendo una strada imprevista, includendo toni apocalittici, metodi di lavaggio del cervello e mobilitazione permanente: ben presto, gli abitanti di Jonestown iniziarono a vedere il resto del mondo come il nemico e iniziarono a considerare la propria comunità con una sorta di paradiso terrestre. I livelli di fanatismo crebbero esponenzialmente in tempi brevissimi e lo stesso Jim Jones cominciò a raccogliere attorno a sé la sua nuova società: allontanarsi era impossibile, andarsene significava disertare, quindi tradire. Le famiglie di alcuni adepti chiesero aiuto al Congresso degli Stati Uniti che, dopo ripetute segnalazioni, decise di intervenire con una inchiesta ufficiale: fra il 17 e il 18 novembre del 1978, il deputato Leo Ryan si recò a Jonestown con una troupe di giornalisti NBC e cominciò a fare domande ai membri della comunità. Se dopo...
Il Demon Murder Trial: il processo ad Arne Johnson...
Il Demon Murder Trial è uno dei processi americani più famosi degli anni ’80, non tanto per la particolare efferatezza o per le generalità dei protagonisti, ma per l’originale linea di difesa scelta da uno degli avvocati nelle prime battute del processo: il reo confesso Arne Johnson, giovane ragazzo originario del Connecticut, aveva – sì – ucciso il suo padrone di casa, Alan Bono, ma lo aveva fatto perché posseduto da un demone. La storia Tutto inizia nel luglio del 1980: Arne sta aiutando la famiglia della sua fidanzata, Debbie, a traslocare. Tutti, anche David, il fratellino della ragazza, stanno dando una mano, pulendo le stanze e preparando gli spazi per l’arrivo di mobili e valigie. A un certo punto, però, David torna correndo dal piano di sopra, raccontando di aver visto un uomo anziano vestito di nero: l’uomo lo ha spintonato e gli ha detto di andare via, perché rimanere lì significa attirare sulla famiglia qualcosa di molto brutto. Nessuno sembra credergli. Forse il piccolo David sta patendo il trasferimento, forse è solo una fase della crescita… Arne e Debbie, però, sentono rumori strani provenire dal piano di sopra e, in effetti, non si sentono troppo tranquilli. Le cose peggiorano quando David torna a casa: il ragazzo si comporta in modo strano, digrigna i denti, si contorce, aggiunge dettagli alla sua storia, raccontando che l’uomo era un uomo, ma ogni tanto sembrava un animale, aveva le corna e parlava latino. La madre di David si spaventa, comincia a sentire strane vibrazioni anche a casa sua e contatta la vicina chiesa per un aiuto: l’esorcismo deciso dal prete, però, sembra peggiorare le cose. È a questo punto che i genitori di David decidono di chiamare Edward e Lorraine Warren, esperti di paranormale diventati famosissimi...
La Piccola Bastarda: che fine ha fatto la Porsche di James Dean?...
James Dean, morto a soli 24 anni nel 1955, è ancora oggi un’icona: di stile, sicuramente (anche grazie a lui, jeans e maglietta bianca spopolano indisturbati da oltre mezzo secolo), ma anche di “attitudine”. Con la sua faccia bellissima e squadrata, il suo sguardo a tratti trasognato, il suo indiscusso talento, le sue foto private che rivelano un animo profondo, le intense passioni per tutto ciò che è arte e la sua affascinantissima vena ribelle, è ancora oggi – per tanti – un modello da imitare, raggiungere, superare. Parte del suo essere ribelle si esprimeva anche con le auto: le sue preferite, le Porsche, lo accompagnarono per tantissimi anni e una di loro, la Piccola Bastarda, ne segnò anche la fine. Ma chi era la Piccola Bastarda? Era una meravigliosa Porsche 550 Spyder color argento, lunga, lunghissima, senza tettuccio: praticamente un missile, sia per linee che per velocità (220 Km/h con un passaggio da 0 a 100 in 10 secondi. Nel 1955…). Dean l’acquistò nel ’55, abbandonando la precedente 356 bianca: nemmeno il tempo di staccare l’assegno che l’auto finì a George Barris, famoso per aver progettato e prodotto alcune delle auto cinematografiche più famose di sempre (la macchina dei Flinstones, la Batmobile, il Generale Lee…). Barris gliela modificò, la rese ancora più aggressiva, perfetta per quelle gare su strada che la Warner Bros. aveva espressamente vietato a Dean, almeno durante le riprese. Dopo le modifiche, Barris gliela riconsegnò, manifestando un brutto presentimento: la Piccola Bastarda, soprannome scelto direttamente dall’attore, l’avrebbe fatto finire male. Il 30 settembre del ’55, la profezia si avverò. Mentre si trovava in auto, sulla sua Little Bastard, in compagnia di un amico, un’auto proveniente dalla direzione opposta non rispettò una precedenza, prendendoli in pieno: sulla Statale 46, in direzione...
Misteri dal mondo: La Pascualita messicana...
Al numero 801 della Calle Guadalupe Victoria di Chihuahua, Messico, è situato uno dei negozi più interessanti e misteriosi dell’intera nazione: “La Popular – La Casa de Pascualita”. Cosa lo rende così particolare? Un manichino, esposto in vetrina per la prima volta il 25 marzo 1930. Non è, però, un manichino uguale a tutti gli altri: un corpo di legno o plastica dai tratti vagamente umanizzati. Si tratta, invece, di una bellissima ragazza, realizzata talmente tanto nel dettaglio da sembrare vera. Anzi, i locali dicono proprio che sia una ragazza vera, un corpo mummificato, esposto agli occhi dei passanti mentre indossa con grazia un vestito da sposa: si tratta della Pascualita. Le dicerie sono iniziate subito dopo l’arrivo del manichino in negozio, quasi 90 anni fa: occhi di vetro molto dolci, una parrucca di capelli veri, mani solcate da vene e rughe, una pelle dalla tonalità stranissima e, addirittura, unghie spezzate iper realistiche. In molti hanno pensato che si trattasse della figlia della proprietaria, Pascuala Esparza: leggenda vuole, infatti, che la giovanissima ragazza – di cui si è perso il nome – sia stata uccisa da una vedova nera nel giorno del matrimonio. Per tenerla vicino e permetterle di essere la sposa che non aveva potuto diventare in vita, la madre l’avrebbe fatta imbalsamare perfettamente, l’avrebbe vestita e l’avrebbe portata con sé al negozio di famiglia. Certo, la proprietaria tentò immediatamente di fermare le speculazioni, ma ormai il danno era fatto: nel corso degli anni, alcuni hanno visto la Pascualita seguirli con lo sguardo, altri hanno notato strani movimenti, persino le commesse hanno alimentato il fuoco del gossip, sostenendo che la ragazza avrebbe vene in evidenza anche sulle gambe, tanto realistiche da sembrare vere. Ad oggi, la verità resta un enigma: il nuovo proprietario,...
Mitologia giapponese: Yokai e Yurei...
La mitologia giapponese raccoglie numerosissime credenze e miti, oltre ad un numero impressionante di “personaggi”, di creature: il solo pantheon shintoista, per esempio, include oltre 8mila Kami, cioè divinità (anche se la traduzione letterale di questo termine sarebbe più vicina a “oggetto di venerazione”. Il termine “dio”, infatti, può creare più di un equivoco). Fra gli spiriti inclusi all’interno di questo complesso sistema, a destare particolare interesse sono Yokai e Yurei. YOKAI La parola Yokai deriverebbe dall’unione di Yo, cioè maleficio, e Kai, cioè manifestazione inquietante: la traduzione più appropriata sarebbe quindi a metà fra “spirito” e “demone”. Queste creature non sono tutte uguali, ma si caratterizzano in modo decisamente differente: secondo la tradizione, alcune preferiscono stare lontane dagli uomini, mentre altre – attirate dal calore – rimangono a loro molto vicine. Molte di loro sono dotate di poteri soprannaturali e, generalmente, sono ritenute pericolose, spinte da motivazioni oscure. Fra gli Yokai più conosciuti: – gli Oni, simili a orchi, sono giganti mostruosi e malvagi – le Kitsune sono ingannatrici – la Yuki-onna è la Signora della Neve – Kappa, Tengu e Nure-onna sono, invece, in parte animali. Ad accomunarle, il legame con il fuoco e con l’estate, periodo dell’anno in cui il mondo degli spiriti si trova più vicino a quelli dei vivi. Gli Yokai si possono dividere in tre “famiglie” principali (a cui si aggiungono anche Yokai di altra natura): animali, umanoidi e oggetti. In Giappone si ritiene che alcuni animali posseggano dei poteri e che, arrivati ad una certa età, possano semplicemente trasformarsi: – i Bakeneko, per esempio, sono gatti molto anziani oppure molto grandi che manifestano il potere di cambiare forma. Possono creare sfere di fuoco e possono assumere sembianze umane: sono conosciuti perché tendono a rubare dalle case l’olio...
La Tavola Ouija: di cosa si tratta?...
La Tavola Ouija è uno strumento molto particolare: si tratta di una superficie piana, di solito in legno o plastica, caratterizzata dalla stampa (o l’incisione) di tutte le lettere dell’alfabeto, delle cifre numeriche da 0 a 9, di un si, un no ed una forma di saluto, di solito l’inglese “goodbye” (addio o arrivederci). Ideata a metà del XIX secolo (con precedenti illustri non meglio specificati né provati) e lanciata con successo sul mercato dalla metà del secolo successivo, la tavola viene utilizzata per le comunicazioni medianiche con gli spiriti: viene, cioè, utilizzata nel corso delle sedute spiritiche. Tavola Ouija: come si utilizza e da quando? I partecipanti si uniscono ad un medium, un tramite, appoggiando leggermente le dita ad un indicatore, di solito un triangolo di legno. A turno, vengono fatte delle domande a cui si possa rispondere con un si o un no, oppure formulando frasi più complesse: gli spiriti (o fantasmi, o presenze, o angeli o comunque li chiami chi decide di tentare il contatto) rispondono spostando l’indicatore verso le parole o le lettere giuste e componendo piano piano una o più parole. La seduta si conclude solo con un commiato. Gli inventori ufficiali di questo strumento sono Elijah J. Bond e Charles Kennard, che lo brevettarono nel 1890. Undici anni dopo, William Fuld ne rilevò i diritti e lo rimise in vendita con il nome “Ouija” (un’unione di francese e tedesco senza un’origine chiara): nel 1991, il trademark è passato all’azienda Hasbro. Una spiegazione razionale Chi non crede all’effettiva possibilità di connettersi con gli spiriti ritiene che ci sia una spiegazione molto semplice per il movimento – all’apparenza volontario – dell’indicatore sulla tavola: l’effetto ideomotorio. In poche parole, l’inconscio di chi appoggia le dita sul triangolo di legno genera un...
Jack o’ Lantern: la più famosa leggenda di Halloween...
Con il termine Jack o’ Lantern si intende la famosa zucca svuotata e decorata che viene utilizzata come lanterna durante la festività di Halloween: intagliata per essere simpatica oppure spaventosa, viene generalmente utilizzata nei paesi anglosassoni, ma la sua presenza si è diffusa in tantissimi paesi. Il nome Jack o’ Lantern deriva da una delle più famose ed antiche leggende collegate a questo particolare periodo dell’anno: la storia, di origine irlandese, racconta di un fabbro avido e furbo di nome Jack che, durante una delle sue solite bevute al bar, incontra niente meno che il Diavolo in persona. Ubriaco, il fabbro rischia di perdere l’anima, ma, con un astuto stratagemma, convince Satana a trasformarsi in una moneta: chiederà un’ultima birra e poi gli consegnerà il suo spirito. Il Diavolo si fa convincere, ma, una volta trasformatosi, viene beffato: il giovane mette, infatti, la moneta dentro al suo borsello, proprio vicino ad una croce d’argento. Pur di liberarsi, il Demonio gli promette altri dieci anni e se ne va. Dieci anni dopo, puntale, il Diavolo si presenta alla porta di Jack, chiedendogli l’anima: di nuovo, il fabbro lo inganna, chiedendogli di raccogliere una mela per lui prima di andarsene. Satana sale sull’albero e Jack intaglia una croce, in modo che non possa più scendere: una nuova discussione fra i due porta finalmente ad un accordo. Il Diavolo sarà libero e Jack non sarà mai più dannato. Il fabbro conduce, allora, una vita piena di peccati, comportandosi nei peggiori dei modi: alla morte, il Paradiso lo rifiuta, ma, memore dell’accordo, anche l’Inferno lo rifiuta, condannandolo ad un’esistenza infelice, fra la vita e la morte, senza riposo. Quando Jack fa notare al Diavolo che la strada è buia e fredda, il Diavolo gli risponde gettandogli un tizzone,...
La Baleniera Essex e l’origine di Moby Dick...
Quella della Baleniera Essex è una delle storie nautiche più conosciute, non solo per la tragicità degli eventi capitati fra 1819 e 1821, ma anche perché lo scrittore Herman Melville avrebbe utilizzato parte di questo viaggio come diretta ispirazione per il suo famosissimo “Moby Dick”. Ma cos’era la Baleniera Essex? La Essex era un’imbarcazione lunga circa 27 metri, probabilmente costruita fra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800, e ristrutturata intorno al 1819: era munita di ben 4 lance, cioè piccole barche utilizzate per la caccia alle balene. I cetacei venivano inseguiti, arpionati e trasportati alla nave madre, dove venivano trattati per l’estrazione del preziosissimo olio, venduto, poi, in tutta America. All’epoca dei tragici fatti che ne decretarono la fama, il capitano della nave era James Pollard Jr, di appena 29 anni: il suo primo ufficiale era Owen Chase, ancora più giovane, mentre l’equipaggio era formato, in totale, da altre 18 persone, fra cui il giovanissimo mozzo quattordicenne Thomas Nickerson. Il viaggio, della durata prevista di due anni, iniziò il 12 agosto del 1819 e non partì sotto i migliori auspici: due giorni dopo aver lasciato il porto di Nantucket, piccola isola a largo del Massachusetts, l’imbarcazione venne, infatti, colpita da una tempesta molto violenta, subendo danni allo scafo e alle vele. Il capitano decise comunque di continuare verso Capo Horn, che venne raggiunto già nel 1820: i primi mesi dell’anno furono, quindi, caratterizzati da una caccia non troppo fortunata nel Pacifico e da alcuni racconti di altri equipaggi, che suggerivano di provare a spingersi più a largo, a circa 4500 Km a Sud Ovest dalla costa. Lì, a detta di chi c’era stato, balene e capodogli nuotavano in grande numero e si poteva sperare di ottenere diverse centinaia di barili d’olio: la...
La Zona del Silenzio: di cosa si tratta?...
Situato in Messico, nel punto di incontro fra gli stati di Durango, Chihuahua e Coahuila, il deserto nominato “Zona del Silenzio” è uno dei più famosi e misteriosi al mondo. Protagonista di leggende urbane, racconti e storie, viene dai più considerato un vero e proprio luogo maledetto, caratterizzato da strani eventi, che lo accomunano al Triangolo delle Bermuda o alla zona delle Piramidi, con i quali, stranamente, condivide anche la posizione (fra il 26° ed il 28° parallelo). Ad alimentare la fama della Zona del Silenzio sono alcune storie in particolare, ritenute dai più attendibili. La prima riguarda Francisco Sarabia Tinoco, un aviatore messicano particolarmente esperto che, negli anni ’30, fu protagonista di un incidente quanto mai anomalo, mentre sorvolava proprio la zona di Durango: entrato con il suo velivolo nella Zona del Silenzio, la sua radio avrebbe progressivamente smesso di funzionare, emettendo prima suoni senza senso, poi solo rumore bianco incomprensibile. Il segnale si perse anche da terra e, temendo il peggio, alcuni uomini partirono alla ricerca del pilota: Sarabia venne trovato poco dopo, non molto distante dall’ultimo punto in cui le comunicazioni erano avvenute con successo, sano e salvo, ma spaventato. Secondo il suo racconto, tutta la strumentazione avrebbe iniziato a dare problemi e l’aereo, più che a volare, avrebbe iniziato a fluttuare, costringendolo ad uno stranissimo atterraggio di fortuna. Da quel momento, si rifiutò di sorvolare di nuovo la zona. Sempre in quel deserto sarebbe, poi, precipitato il Meteorite Allende, ancora oggi uno dei più studiati reperti provenienti dallo spazio: disintegratosi nell’atmosfera sopra la Zona del Silenzio, avrebbe ricoperto l’area con migliaia di piccoli pezzi, caratterizzati da elementi sconosciuti al nostro sistema solare. Secondo gli studi, il Metorite Allende avrebbe oltre 4 miliardi di anni e risulterebbe più antico del nostro...