La Pantone Inc. nasce nel 1962 a CarlStadt, nel New Jersey, per opera di Lawrence Herbert: l’azienda statunitense si occupa di tecnologie per la grafica e, negli anni ’50, mette a punto un sistema di catalogazione e riconoscimento dei colori che diventa da subito standard internazionale, utilizzato anche nei settori industrali e chimici. L’obiettivo è tradurre tutte le diverse tonalità nel sistema di stampa CMYK (ciano, magenta, giallo e nero) con un codice formato da due campi: il primo può essere caratterizzato da una parola o da un numero di due cifre, ma, per i colori più comuni, esistono definizioni più classiche (es. il bianco “Safe” o il rosso “Scarlet Red”). Nel corso degli anni, il termine Pantone è diventato una vera e propria istituzione: a partire dal 2000, per esempio, l’azienda sceglie il “colore dell’anno“, capace di influenzare le scelte anche nel campo della moda e dello spettacolo (scelto il “Radiant Orchid”, l'”Emerald” o il “Tangerine Tango”, accessori, capi d’abbigliamento, cosmetici… tutte le aziende cercheranno di sfruttare la tonalità di moda)! Ma i Pantone hanno influenzato arte e design anche in altri modi! David Schwem, designer ed illustrator originario del Midwest, ha, per esempio, realizzato un progetto basato su una serie di fotografie che hanno per protagonisti cibi associati in base al gusto e al colore: i Food Art Pairings. Ispirandosi ai Pantoni, ha abbinato tonalità e ricette in modo divertente ed originale, creando nuove “mazzette” da sfogliare per poter scegliere il colore perfetto per noi! Schwem, collaboratore fra gli altri di Apple, Target, GQ e Warby Parker, ha fatto della ricerca sul colore uno dei suoi tratti distintivi: lo dimostrano altri bellissimi progetti, come Rechargeable Fruit, Cereal Day e Camelflage...
LE EMOZIONI SU FACEBOOK: OTTIMISMO E PESSIMISMO VIAGGIANO IN UN POST...
Due studi condotti sulla natura dei post e delle emozioni su Facebook hanno rivelato che l’ottimismo ed il pessimismo espressi su un social network sono contagiosi: uno stato che esprime felicità genera post positivi da parte di chi ci legge e la stessa cosa vale anche per le emozioni negative. Il primo di questi test venne condotto dal 2009 al 2012 da un team capitanato da James Fowler (University of California a San Diego) e che vedeva fra i collaboratori anche due italiani, Lorenzo Coviello e Massimo Franceschetti: un software analizzò in 1180 giorni circa 1 miliardo di stati su Facebook da 100 milioni di utenti anonimi, provando che, per esempio, in un giorno di pioggia la percentuale di post tristi aumentava del 1,16%, mentre gli stati felici diminuivano contemporaneamente del 1,19%. Ma questa variazione non riguardava solo persone residenti nella stessa città e, quindi, “vittime” delle stesse condizioni meteorologiche: anche amici di città lontane “baciate dal sole” percepivano il malessere, rispondendo con post di uguale tenore. L’effetto del contagio risultò evidente. Un secondo studio, condotto recentemente dai ricercatori della Cornell University e della University of California di San Francisco, ha confermato i primi dati, utilizzando un algoritmo modificato per la prima settimana, in modo da analizzare con sempre maggior frequenza parole riferite ad emozioni negative: la proporzione per i primi 7 giorni è stata di 4 milioni di post positivi contro 1,8 milioni di stati negativi. In totale, sono stati presi in considerazione oltre 3 milioni di post da 690 mila utenti casuali di Facebook, per circa 122 milioni di parole: i risultati, pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Science, hanno confermato l’alto tasso di contagio fra amici, i cui post si “adeguano” a quelli pubblicati da altri durante la...
MARINA ABRAMOVIC: THE GRANDMOTHER OF PERFORMANCE ART...
Nata a Belgrado, in Serbia, nel 1946, Marina Abramovic è stata ed è tuttora una delle artiste più importanti ed influenti nel campo della body art: la sue prime performance risalgono agli inizi degli anni ’70 e sono da subito dedicate ad alcuni temi in particolare, come la sessualità e la femminilità, la dimensione intima e quella quotidiana, l’interpretazione della realtà, la relazione fra artista e pubblico, i limiti del corpo e le possibilità della mente. Fin dagli esordi, lo strumento utilizzato dall’artista è stato, infatti, il suo stesso corpo, protagonista di vere e proprie prove, necessarie per testarne la resistenza fisica e psicologica ed esplorare i limiti della sopportazione: il corpo è simbolo della realtà, mezzo per porre domande e generare risposte, suscitando attenzione e obbligando il pubblico a reagire, diventando oggetto dell’esecuzione. Ma perché proprio il corpo e perché questo tipo di performance? Perché, secondo Marina Abramovic, solo sperimentando il dolore, la sofferenza, la paura della morte ed i limiti fisici puoi davvero liberarti di loro: “Le cose che non conosco, le cose che temo, quelle difficili finiscono per contare veramente. Nella vita reale la gente va incontro a tragedie tremende, a malattie e sofferenze che portano vicino all’esperienza della morte. Queste sono situazioni che cambiano la vita. La felicità non cambia la vita di nessuno: è uno stato che non si vuole mai alterare. Ecco perché io metto in scena difficoltà e momenti pericolosi: per superarli e infine liberarmi delle paure. Come una sorta di catarsi.” (Potete trovare l’intervista completa qui) Fra le opere che meglio rappresentano questo concetto si possono citare: RHYTHM 0 (1974) – L’esecuzione si svolse a Napoli: su un tavolo vennero posti 22 oggetti di diverso tipo (rasoi, forbici, una macchina fotografica, una rosa…) e al pubblico...
COLORI ED EMOZIONI: MOVIES IN COLOR...
Movies in color è un progetto nato dalla fantasia e dallo spirito d’osservazione di Roxy Radulescu: durante la visione di Skyfall, Roxy rimase colpita dall’uso dei colori all’interno delle scene, tanto da concentrarsi più sulla scenografia che sulla trama. La curiosità la spinse a cercare, con l’aiuto di Photoshop, lo spettro di colori utilizzati nei fotogrammi più interessanti, per trovare quelle importanti connessioni che, in modo più o meno evidente, legano in ogni film scelte registiche, luoghi, sfondi, costumi ed emozioni. Perché ogni colore provoca una reazione, suscita determinate emozioni e modifica lo stato d’animo di uno spettatore che lui lo voglia oppure no. Se per alcune scene questo procedimento è evidente, pensiamo ai colori sempre forti ed in contrasto usati da Wes Anderson piuttosto che al rosso acceso scelto da Tarantino per il sangue delle sue vittime sullo schermo, per altre pellicole le scelte cromatiche, pur attente, passano quasi inosservate, agendo di nascosto: eppure, nonostante l’assenza di particolari tonalità accese, film drammatici come Shining, Alien o Il Cigno Nero riescono comunque a trasmettere un senso di oppressione e inquietudine. La stessa cosa vale per i film d’animazione o comici, a cui bastano poche tonalità per trasmettere sentimenti positivi. Se poi consideriamo un capolavoro come Schindler’s List, il ruolo centrale del colore diventa evidente. L’idea originale di Roxy Radescu è diventata prima un blog, poi una pagina Facebook: le still vengono spesso pubblicate per argomenti e intere settimane vengono dedicate a specifici registi (Federico Fellini, Wim Wenders, Frank Oz, Spike Jonze…), ma è sempre possibile fare delle richieste. Nel sito viene pubblicato tutto, comprese le ultimissime uscite o i film in bianco e nero. Perché anche un’ombra grigia può dire mille...
SHORTOLOGY: TUTTO IN UN’ICONA...
Come si può rappresentare un film, un evento storico, una ricorrenza, un proverbio, una canzone con pochi, pochissimi, elementi? Come si può condensare la complessità di un film di Kubrick o l’epicità della vita di un personaggio come Cesare utilizzando semplici disegni? Con le icone di Shortology: bignami visual ideati dai direttori creativi della H-57! La carriera di Michael Jackson, i capitoli di Star Wars, il D-day il 6 giugno del 1944, i pezzi dei Beatles, la storia delle nazionali di calcio… tutto può diventare icona, una sorta di riassunto rapido per chi non può perdere tempo. Il progetto si è presto trasformato in un libro, dal titolo “Shortology, da Allen a Mark Zuckerberg, 101 ministorie per chi non ha tempo da perdere“: una raccolta divertente ed irriverente, utile per mettere alla prova anche gli amici… qualche esempio? – CINEMA: – MUSICA: – STORIA: E ora tocca a voi: un proverbio e due film. Riuscite a...
I MONDIALI: IERI E OGGI...
Il Campionato Mondiale di Calcio (la FIFA WORLD CUP) è il massimo torneo calcistico internazionale a cui partecipano squadre nazionali maschili: nasce nel 1928 ad opera di Jules Rimet e viene organizzato per la prima volta nel 1930, con la partecipazione di 13 squadre. Durante questa prima edizione, tenutasi in Uruguay, furono solo quattro le squadre d’Europa a partecipare alle partite, cioè Belgio, Francia, Romania e Jugoslavia. Il viaggio oltre oceano costava troppo e praticamente nessuna nazione aveva manifestato l’intenzione di accettare l’invito: fu solo grazie all’intervento dello stesso Rimet che questi pochi paesi cedettero ed inviarono le proprie federazioni a ridosso della data di inizio. Nel ’30 si sfidarono, quindi, sette nazionali sudamericane, quattro europee e due nordamericane. Ad oggi, fra fase di qualificazione e gironi finali, le squadre coinvolte sono circa 200, impegnate negli incontri per tutti e 3 gli anni che precedono la manifestazione! Ma quali sono stati gli episodi che hanno caratterizzato ogni appuntamento? 1930 – Ad aprire la primissima edizione dei mondiali furono due partite, Francia – Messico (4 – 1) e Stati Uniti – Belgio (3 – 0). Il primo gol della storia del campionato mondiale venne segnato dal francese Lugen Laurent, mentre alla finale fra Uruguay e Argentina (4 – 2) parteciparono ben 93.000 spettatori. Un vero e proprio record! 1934 – La nazione ospitante nel ’34 fu l’Italia: 16 nazioni aderirono alla manifestazione, mentre l’Uruguay, pur essendo campione del mondo, decise di non partecipare, come forma di protesta alla scarsissima adesione dei gruppi europei ai campionati di quattro anni prima. A vincere, con numerose polemiche e qualche sospetto, fu proprio l’Italia. 1938 – I mondiali si tennero di nuovo in Europa, per l’esattezza in Francia, e questa volta, insieme all’Uruguay, anche l’Argentina decise di boicottare l’incontro,...
SIMMETRIA, PUNTO DI FUGA, SUSPENCE E CITAZIONE: 4 REGISTI E LA LORO FIRMA...
Cosa notiamo di solito in un film? La recitazione degli attori coinvolti, una storia avvincente, convincente, emozionante, una colonna sonora che ci travolge nel mezzo di una scena particolarmente importante, la battuta perfetta al momento giusto…. eppure, a volte dimentichiamo che, se un film funziona, è anche, e soprattutto, merito del regista. I registi dirigono, muovono le pedine, cambiano la prospettiva, spesso ingannano il loro pubblico, rimanendo sempre, perfettamente, nascosti. O quasi. Ogni regista ha il suo stile, qualcosa che lo identifica e lo rende apprezzabile: esistono, però, registi un po’ più identificabili di altri, famosi per la cura riservata a determinati dettagli o passati alla storia per aver inventato punti di vista del tutto nuovi. Qualche esempio? WES ANDERSON Nato nel 1969, Wesley “Wes” Anderson è un regista, uno sceneggiatore ed un produttore statunitense. Realizza il suo primo film nel 1996, ottenendo da subito quel grande successo di critica e pubblico che ancora oggi lo accompagna ad ogni nuova pellicola: Un colpo da dilettanti, Rushmore, I Tenenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Il treno per il Darjeeling, Fantastic Mr. Fox, Moonrise Kingdom e Grand Budapest Hotel. Ciò che accomuna tutti i suoi film, oltre al ritorno ciclico di determinati attori (fra cui gli ormai mitici Bill Murray, Owen Wilson, Adrien Brody e Jason Schwartzman) ed il ruolo centrale della colonna sonora (David Bowie, Nico, Velvet Underground, ma anche Seu Jorge, autore delle musiche per Steve Zissou), è la presenza quasi ossessiva di inquadrature perfettamente simmetriche. La simmetria attraversa trasversalmente tutte le opere di Anderson, contribuendo a quell’atmosfera un po’ artificiale che spesso si incontra nelle scene più diverse: una stanza, la hall di un albergo, un campo aperto, una tenda da campeggio, un pulmino della scuola, un personaggio ripreso frontalmente, un personaggio ripreso di...
PORN HUB E IL MARKETING INTELLIGENTE...
Porn Hub è uno dei più famosi siti di pornographic videosharing, cioè di condivisione libera di materiale video pornografico: nato nel 2000, ha raggiunto in pochissimi anni una popolarità tale da poter competere con siti che parlano di tutt’altro. Un esempio? Nel 2009, arrivò 39° nella lista dei siti più cliccati in Italia. In generale. Mentre, solo nel 2013, ha ricevuto ben 14,7 miliardi di visite da tutto il mondo. In poche parole, Porn Hub fa parte della famiglia del Porn 2.0, assomigliando a Youtube nella disposizione ed a Youporn nei contenuti, con la differenza che Hub ha saputo potenziare i tag, aumentare le sottocategorie ed introdurre servizi a pagamento, come la possibilità di scaricare tutti i video del portale. Ciò che rende così famoso ed apprezzato questo sito (tanto da finire citato in una recente pellicola, Don Jon) non è però solo la tematica, di sicuro impatto ed interesse, ma anche e soprattutto l’immagine che ha saputo costruirsi fin dall’inizio: pubblicità divertenti, ricche di doppi sensi, ma mai troppo esplicite, bandi, concorsi ed il continuo contatto con utenti e creativi, chiamati a decidere delle sorti del marketing aziendale. L’ultima trovata del team di Porn Hub è stata, per esempio, lanciare una campagna su Tumblr, per reclutare il nuovo direttore creativo. Il premio? Un contratto di un anno. Partecipare era facilissimo: bastava inviare un progetto, un’immagine pubblicitaria che parlasse di pornografia senza scadere nella volgarità. Impossibile? Non proprio. A partecipare fino alla scadenza (31 marzo 2014) sono stati giovani e meno giovani da tutto il mondo, capaci di progettare forme di comunicazione, grafiche, disegni e slogan divertenti, sagaci e mai troppo espliciti, rispettando l’anima ironica e le richieste di Porn Hub. Ecco qualche esempio: Ma PHub si è fatto notare anche per altri progetti, sicuramente...
COS’È OGGI L’UNIONE EUROPEA?...
In questi giorni, grazie soprattutto alle elezioni svoltesi in 28 paesi il 25 maggio scorso, il tema “Europa” ha occupato siti, pagine di giornale e canali tv: ma cos’è esattamente l’Unione Europea? L’Unione Europea (anche detta UE) è una organizzazione internazionale di carattere sovranazionale che comprende, al momento, 28 membri: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia ed Ungheria. I candidati all’adesione all’UE sono la Turchia, la Macedonia, l’Islanda, il Montenegro e la Serbia. L’Unione consiste oggi in una zona di libero mercato, caratterizzata da una moneta unica (l’euro), regolamentata dalla BCE (Banca Centrale Europea) ed adottata da 18 dei 28 stati membri: i paesi fanno parte di una unione doganale, una politica agricola e commerciale comune ed una comune politica della pesca. Gli organi principali dell’organizzazione sono un Consiglio, una Commissione, una Corte di Giustizia, un Parlamento, un Consiglio Europeo ed una Banca Centrale: l’europarlamento nasce nel 1952, ma è solo dal 1979 che i suoi membri possono essere eletti a suffragio universale su tutto il territorio compreso nell’Unione. Ogni organo ha una specifica competenza: – la Commissione europea è formata da un commissario per ogni stato membro, ha sede a Bruxelles e rappresenta gli interessi generali della UE. La carica dei componenti, nominati dal Consiglio europeo, dura 5 anni. – il Parlamento europeo è composto da rappresentanti eletti a suffragio universale dai cittadini di tutti gli stati membri ogni 5 anni (il Presidente rimane in carica per due anni e mezzo). Ha sede a Strasburgo, ma svolge i suoi lavori a Bruxelles e a Lussemburgo. – il Consiglio dell’Unione Europea (anche detto Consiglio dei Ministri) è composto da un rappresentante...
UNA MALEDIZIONE È PER SEMPRE (?): MALEDIZIONI FAMOSE, MITI E LEGGENDE DI CHI HA AVUTO VERAMENTE TANTA SFORTUNA....
Le maledizioni famose sono davvero tante e coinvolgono settori e protagonisti molto diversi: lo sport, lo spettacolo, la musica, la politica e la storia… praticamente nessuno è escluso. Ma cos’è esattamente una maledizione? Sul vocabolario Treccani troviamo questa definizione: “L’atto e le parole con cui si maledice, con cui cioè s’invoca su individui, gruppi, città, ecc. la condanna e la punizione della divinità.”, ma anche “Lo stato stesso di disgrazia e di esecrazione in cui si trova chi è stato maledetto”. Un solo termine comprende chi la maledizione la lancia e chi la subisce. Nei casi più noti, l’origine della condanna non è sempre conosciuta, mentre sono sempre ben in vista le povere vittime… Qualche esempio? 1 – IL BENFICA E BELA GUTTMAN Il Benfica è la squadra di calcio portoghese che ha vinto in assoluto di più: trenta titoli nazionali, venticinque Coppe, tre Supercoppe del Portogallo e cinque coppe di Lega ne sono una prova. Anche a livello internazionale si è saputa difendere, portando a casa due Coppe dei Campioni (giocando sette finali) e una Coppa Latina. Tantissimi grandi giocatori sono passati da questo team, anche se il più conosciuto ed amato resta Eusébio, Pallone d’oro nel 1965. Béla Guttman (1899 – 1981) è stato un calciatore e poi allenatore ungherese: giocò per il MKT Budapest, lo Hakoah di Vienna, numerosi club statunitensi e la Nazionale Ungherese, mentre allenò squadre fortissime, come il Milan, il San Paolo, il Porto, il Peñarol e, appunto, il Benfica. Fu proprio lui a far vincere al team portoghese le due Coppe dei Campioni, nel 1961 e nel 1962. Ma il rapporto fra la società e l’allenatore non fu sempre rose e fiori: dopo i grandi successi raccolti a inizio anni ’60, Guttman richiese un aumento di stipendio....
STRANE ABITUDINI E PICCOLE MANIE DI SPORTIVI, SCRITTORI, GENI E INVENTORI...
Molti di noi hanno gesti scaramantici: per esempio, infilare la scarpa destra prima della sinistra e viceversa, indossare una determinata maglietta in occasioni importanti, fare le cose sempre in un determinato ordine, portarsi dietro amuleti di ogni tipo… in certi momenti, gesti e oggetti portafortuna sembrano indispensabili. Ma strane abitudini e piccole manie non riguardano solo i comuni mortali: spesso, anzi spessissimo, personaggi noti in tutto il mondo rivelano (anche se, a volte, queste “cerimonie” si tengono sotto gli occhi di tutti o, magari, vengono raccontate da amici e parenti) di avere riti e convinzioni anche molto divertenti. Quali sono i comportamenti più particolari? Truman Capote, autore, fra gli altri, di Colazione da Tiffany e A Sangue Freddo, evitava di iniziare o finire un libro di venerdì, cambiava camera d’albergo se il suo numero telefonico conteneva un 13 e non metteva mai più di tre mozziconi di sigarette in un posacenere: quelli in più se li infilava nella giacca. Per tutta la sua carriera, Jack London scrisse esattamente 1000 parole al giorno, mentre Stephen King preferisce arrivare fino a 2000. Schiller teneva delle mele marce nella scrivania, perché il loro odore, per gli altri (fra cui Goethe) insopportabile, lo aiutava a trovare nuove idee ed ispirazioni, mentre Agatha Christie era solita mangiare mele nella vasca da bagno, ideando nuovi omicidi per i suoi romanzi. Virginia Woolf scriveva esattamente due ore e mezza ogni mattina, seduta o in piedi, utilizzando un tavolino alto 3 piedi e mezzo: in questo modo, poteva guardare il suo scritto da vicino e da lontano. Edgar Allan Poe cercava sempre l’approvazione della sua gatta Catterina, tutor letterario, mentre James Joyce scriveva sdraiato a pancia in giù sul letto, vestito con un camice bianco ed utilizzando grandi matite o pastelli, probabilmente...
PID: PAUL IS DEAD (?)...
Una delle prime e più famose leggende metropolitane legate al mondo del rock è la teoria del complotto secondo la quale Paul McCartney, bassista dei Beatles, sarebbe morto in un incidente stradale nel 1966, per essere sostituito da un sosia ingaggiato dal resto della band. Questa storia, chiamata anche PID (Paul is Dead), inizia a circolare già nel 1969, alimentata da presunti indizi nascosti nelle canzoni, nelle copertine, nelle interviste e nelle foto del gruppo. Ma cosa è successo esattamente al povero Paul? È la sera del 9 novembre del 1966 (o siamo all’inizio del 1965?): Paul esce dagli studi di registrazione dopo una violenta litigata con John, George e Ringo (o era una festa?) e, stanchissimo, si mette in macchina per tornare a casa. Durante il tragitto, raccoglie un’autostoppista, Rita, in fuga da casa dopo aver scoperto di essere incinta: Rita non capisce subito con chi sta parlando, le serve qualche momento per riconoscere Paul McCartney. La sua reazione è inaspettata e violenta: la ragazza è incredula, si agita, si muove e spaventa (o distrae?) Paul, che non frena al semaforo rosso, tagliando dritto. Lo schianto è terribile: la vettura riesce a schivare un’altra auto che arriva dalla direzione opposta, ma finisce fuori strada, colpendo violentemente un albero e prendendo fuoco. Paul viene sbalzato fuori dall’abitacolo: sia lui che Rita muoiono sul colpo (una macabra variante vuole che Paul sia rimasto decapitato dallo scontro con un camion). Ricevuta la notizia, il resto del gruppo ed il manager Brian Epstein devono decidere cosa fare: la band va bene, sta raccogliendo tantissimi fan… si può mettere tutto a rischio? Brian e John insistono per la linea del silenzio: seppelliranno Paul senza far trapelare alcun indizio e cercheranno un sosia, perché possa prendere definitivamente il suo...
GROUND CONTROL TO MAJOR TOM: KEPLER-186f E LA VITA NELL’UNIVERSO...
Siamo soli nell’Universo? Una domanda che il genere umano continua a porsi da anni, rispondendo nei modi più diversi, chiedendo aiuto alla scienza, alla religione, ai miti ed alle leggende. Pochi giorni fa, il dibattito, da sempre molto vivace, è stato alimentato da un importantissimo annuncio, la scoperta di una “stranezza spaziale” in grado di cambiare le cose: a 500 anni luce da noi, all’interno della costellazione del Cigno, si troverebbe un pianeta poco più grande del nostro, con caratteristiche tali da far pensare che possa essere ricoperto di oceani e che sia in grado di ospitare la vita. Il pianeta ruota attorno ad una stella nana grande più o meno la metà del sole, chiamata Kepler-186: vicini alla stella ruotano altri 4 pianeti, i cui periodi di rivoluzione durano 4, 7, 13 e 22 giorni, mentre poco più lontano, situato nella zona di abitabilità, orbita Kepler-186f, questo il suo nome, con un anno di 130 giorni ed un calore pari ad 1/3 di quello che riceviamo dal Sole (a mezzogiorno su Kepler-186f c’è una temperatura uguale a quella che sulla Terra abbiamo un’ora prima del tramonto o all’alba, in primavera). Essendo più vicino alla sua stella di quanto la Terra sia vicina al Sole, il suo periodo di rotazione è più lungo (in poche parole, il pianeta ruota su se stesso più lentamente): un giorno su Kepler-186f potrebbe durare settimane o, magari, mesi. Ma chi lo ha scoperto? Un team internazionale che ha utilizzato il telescopio Kepler (dal 2009 impegnato nell’individuazione di pianeti extrasolari) contemporaneamente a Gemini Nord e Keck II, due telescopi di 8 e 10 metri di diametro, posti sulla cima del Mauna Kea, un vulcano delle Haiwaii. Una volta scoperte delle variazioni nella luminosità di Kepler-186 (dovute al transito del pianeta...
ALZI LA MANO CHI È MORTO: GLI ATTORI CON PIÚ DECESSI IN CARRIERA...
Gli attori di Hollywood sono spesso protagonisti di classifiche più o meno utili, dedicate agli argomenti più diversi: chi guadagna di più? Chi si è sposato più volte? Chi è stato arrestato e per quale reato? E poi la più utilizzata di sempre: chi è il più bello di tutti? Fra tutti questi elenchi, però, i più interessanti sono sempre dedicati alle curiosità legate a certe interpretazioni, piuttosto che ai ruoli che diversi attori tendono a scegliere più spesso: c’è chi fa sempre il cattivo, chi si dedica solo a film comici e c’è chi… muore. Esatto, sembra che per alcuni grandi nomi del cinema internazionale morire sul grande schermo sia inevitabile: uccisi brutalmente, affogati, precipitati, travolti da una mandria impazzita (niente scherzi, è successo davvero), sacrificati in un estremo atto d’eroismo… passare a miglior vita per alcuni è davvero un must! Ma quali sono gli attori che tendono a trapassare più spesso? ATTENZIONE, SPOILER!! – LEONARDO DI CAPRIO. Ebbene sì, l’idolo delle teenagers degli anni ’90, delle teenagers del primo decennio del nuovo millennio e, probabilmente, di tante teenagers ancora di là da venire non si è mai risparmiato, morendo per ben 9 volte: Pronti a morire, Poeti dall’inferno (e già questi due titoli dovrebbero far capire tante cose), Romeo+Giulietta, Titanic, Blood Diamond, The Departed, J. Edgar, Django Unchained ed Il Grande Gatsby. Sempre se vogliamo sorvolare sul finale sospeso di Inception… – BRUCE WILLIS. Un mito: simpatico, spesso sorprendente, capace di interpretare ruoli diversissimi, anche se perfetto per la parte da duro. Chi non lo ha adorato ne La morte ti fa bella? Chi non ha corso con lui, soffrendo per ogni ferita in Die Hard? Chi non ha gioito a vederlo sparare a destra e sinistra, apparentemente a casaccio, ne I Mercenari? ...
GENETIC PORTRAITS: A CHI ASSOMIGLI DI PIÚ?...
Il colore degli occhi, la forma del naso, il sorriso, i capelli ricci o lisci… quali dei nostri tratti sono più simili a quelli dei nostri fratelli, cugini, genitori? Le somiglianze e le differenze fisiche sono scritte nei nostri geni e, anche se a volte non sono evidenti, basta la giusta foto a farle emergere: questa è l’idea alla base di “Genetic Portraits“, il bellissimo progetto dell’artista canadese Ulric Collette che, dopo aver iniziato a modificare una serie di foto di famiglia nel 2008, ha dato vita negli anni ad una vasta collezione di ritratti “in coppia” (unendo le due metà dei visi dei protagonisti), testimonianze di ciò che ci accomuna e ciò che ci divide. Le scoperte sono state clamorose: fratelli assolutamente diversi, nipoti identici a nonni e nonne, figli che sembrano la fotocopia più giovane dei propri genitori… per ognuno di loro, Ulric ha dovuto scattare circa 100 fotografie, in modo da poter accoppiare grazie a Photoshop due immagini con uguale distanza, angolo e luce, nelle quali i protagonisti condividessero anche l’espressione del viso. E proprio questo particolare è fra i più sorprendenti: quasi sempre, infatti, anche gli individui più diversi si assomigliano per una pura questione di attitudine, di relazione con la macchina fotografica, mostrando le medesime emozioni esattamente allo stesso modo, quasi a sottolineare che non è solo un particolare fisico a renderci parte di una famiglia. Ecco alcuni degli esempi più rappresentativi di Genetic Portraits: Laurence e Christine, gemelle (2014). A colpo d’occhio, e salvo eccezioni, due gemelli sono identici: moltissimi programmi televisivi, romanzi, film hanno spesso giocato sulla loro intercambiabilità (sempre e solo fisica) e sulla convinzione che la somiglianza esteriore si accompagni sempre ad un legame interiore particolare. Le foto di Ulric Collette confermano e smentiscono contemporaneamente...
THE BLACK DOGS PROJECT: COME SUPERARE LA SUPERSTIZIONE...
Da sempre, il colore nero viene associato a ricordi, sensazioni, esperienze negative: passando dai gatti neri, alla paura del buio, fino ad arrivare a tutte le superstizioni legate al demonio ed alla stregoneria, non esiste un’altra tonalità in grado di innescare in chi guarda emozioni tanto contrastanti. Purtroppo, preconcetti e convinzioni sono spesso in grado di modificare il nostro comportamento, portando a conseguenze anche molto spiacevoli: è il caso dei cani neri a cui, in caso di adozione, vengono spesso preferiti esemplari più chiari, nocciola, beige o bianchi. Si tratta della così detta “Sindrome del cane nero“, a causa della quale chi si avvicina ad un animale dal pelo scuro ha istintivamente la sensazione che sia più feroce e pericoloso: in realtà, nonostante gli studi, non esiste alcuna conferma scientifica dell’interazione fra colore e comportamento e si è lentamente arrivati alla conclusione che questa convinzione sia un semplice mito, una falsa verità che ancora influenza tanti futuri padroni. Ad accorgersi del fenomeno è stato un fotografo statunitense originario di Maynar, Massachusetts, che, dopo aver parlato con numerosi impiegati dei canili degli Stati Uniti si è sempre più convinto che, nonostante non esistano statistiche precise, il problema sia reale: il suo nome è Fred Levy e, per dare il suo contributo alla causa, ha dato vita ad un progetto, The Black Dogs Project, con l’obiettivo di dimostrare ai futuri padroni che non è importante il colore di un cane, ma la sua capacità di amare e di farci compagnia. I cani neri scelti da Levy vengono fotografati davanti a pareti completamente scure e con le loro espressioni dolci e furbe dimostrano una semplice verità: mai giudicare dalla...
I MIGLIORI PESCI D’APRILE DELLA STORIA...
Il primo d’Aprile è da sempre una data particolare: personaggi famosi che muoiono inaspettatamente e nei modi più spettacolari, invenzioni improbabili, scoperte rivoluzionarie, invasioni aliene… tutto ciò che accade al primo del mese è verosimile e provato scientificamente, e caderci è facilissimo. Ognuno di noi ha sognato almeno una volta di fare lo scherzo perfetto, magari attaccando un cartello alle spalle di un amico o utilizzando i social network per annunciare qualche grande – e falsa – novità che ci riguarda, ma la voglia di prendere un po’ in giro chi ci circonda non è un vizio di pochi e non risparmia interi paesi, grandi aziende o enti di ricerca internazionali, impegnati ormai da decenni ad architettare i piani migliori per spaventare e divertire un po’ tutto il mondo. Ecco alcuni fra i migliori pesci d’aprile della storia! 1 – 1860: gli abitanti di Londra vengono richiamati alla Torre di Londra per assistere al lavaggio dei leoni bianchi che vi abitano… ovviamente, non c’è nessun animale feroce. Lo scherzo riuscì così bene che venne ripetuto più volte nel corso degli anni. 2 – 1977: il Guardian pubblica un intero articolo, corredato di fotografie, sulla nuova isola San Serriffe, scoperta recentemente. L’isola non esiste (il nome arriva dal carattere tipografico Sans Serif), ma il reportage è così dettagliato da ingannare tantissimi lettori. 3 – 1995: l’Irish Times annuncia che la Disney sarebbe in trattative per l’acquisto della salma di Lenin, da esporre nei propri parchi. La notizia, falsissima, fa in breve il giro del mondo. 4 – 1996: la Mars annuncia l’innovativa barretta al cioccolato per mancini. Come si riconoscerà? Sulla confezione sarà specificato il verso in cui si dovrà mangiare. Gli scherzi che includono originali invenzioni per chi usa la mano sinistra sono davvero moltissimi...
100 ANNI DI ROCK!
Sapevate che Hip Hop e Rap Rock sono connessi? E che la Disco sta all’origine di New Wave e Post Punk? E che Grunge e Post Grunge non sono collegati? Basta un semplice click per scoprire questo e molto altro! L’infografica di Concert Hotels racconta le origini del Rock in modo semplice e chiaro, rivelando tante piccole sorprese ed aprendo gli orizzonti musicali di tutti gli appassionati: è un vero e proprio albero genealogico che, sviluppandosi in meno di un minuto, riassume più di 100 anni di storia della musica, passando dalla fine dell’800 ai primi anni post 2000. I generi vengono messi in ordine cronologico, caratterizzati da un colore diverso in base alle influenze che ne hanno determinato la nascita: arancione per il folk, azzurro per il blues, beige per il country, verde per la sperimentale, blu per il rythm & blues, rosso per il rock, nero per il metal, fucsia per il punk, verde chiaro per il post punk, viola per l’alternativa e grigio per tutti gli altri. I generi “padri” sono otto, tutti nati prima del ‘900 (Spirituals, Work Songs, Hymns, Gospel, Mexican Folk, Classica, Hawaiian Folk ed Anglo-Celtic Folk), mentre il periodo più proficuo e ricco per la sperimentazione musicale e la creazione di veri e propri capolavori parte alla fine degli anni ’60 e continua almeno fino all’inizio degli anni ’90 (è qui che nascono, fra gli altri, Rock, Hard Rock, Heavy Metal, Grunge, Punk e Rock Psichedelico e si trovano gruppi come i Beatles, i Rolling Stones, i Pink Floyd, i Ramones ed i Nirvana). Cliccando su un’etichetta qualsiasi si scoprono tutti i collegamenti fra generi (segnalati da frecce colorate) e si può ascoltare un brano celebre, rappresentativo della categoria: per esempio, cliccando su Blues Rock si può...
IL FUTURO DELLA WEB DESIGN INDUSTRY...
Qual è il futuro della Web Design Industry? Fino a pochi anni fa, all’interno dell’ambito della creazione di siti web, c’erano due soluzioni: la B2B, cioè transazioni commerciali fra le imprese, centrate sulla figura dello sviluppatore e la B2C, cioè transazioni impresa – cliente, centrate sulla figura dell’amateur che modifica codici e template preesistenti. Ultimamente è, però, emerso un terzo segmento, sempre B2B, composto da designers che, grazie a nuovi software professionali, possono creare siti avanzati senza scrivere una riga di codice e mantenendo il 100% di creatività e libertà. Un’analisi risalente al novembre 2013 ha rivelato che sulla rete esistono ben 785 milioni di siti web che, crescendo al ritmo di 16 milioni nuove unità al mese, generano in un anno un guadagno di ben 20.1 miliardi di dollari solo per la web design industry statunitense. Ma chi li crea? Secondo la ricerca, il 74% dei siti web sono realizzati dalla collaborazione fra designers e sviluppatori, mentre gli amatori ricoprirebbero solo il 3% della produzione totale, con una percentuale di successo del 2% (ben il 98% dei siti prodotti da non professionisti non raggiungerebbero mai la fase di pubblicazione). La collaborazione fra sviluppatori e designers non è, però, sempre facile: il processo creativo è spesso lento e complesso, poiché i designers dipendono in tutto e per tutto dagli sviluppatori, a cui tocca il compito di tradurre in codici tutta la parte grafica. Inoltre, si verifica spesso una disparità nel guadagno, là dove agli sviluppatori va il 70% del profitto e ai designer solo il 30%. Sembra, quindi, giustificata la nascita e la diffusione di diversi programmi dedicati ai designers che vogliono lavorare in modo indipendente (per esempio, Webydo ed Adobe Muse) e che si affiancano agli strumenti tipici degli sviluppatori (WordPress, Umbraco; Joomla…)...
LA SELFIE MANIA E LA PUBBLICITÀ...
Scelta come simbolo del 2013 e già indicata come buzzword (“termine di tendenza”) del marketing nel 2014, la parola Selfie è ormai prepotentemente entrata nel parlato quotidiano, rappresentando una delle mode planetarie degli ultimi anni: l’autoscatto. Di per sé niente di nuovo (basti pensare agli autoritratti, piuttosto che alle fotografie allo specchio di moda negli anni ’60), se non fosse che anche la pubblicità si è mobilitata per integrare questo nuovo fenomeno in campagne sempre più accattivanti e dall’esito decisamente positivo: un esempio su tutti, il selfie che, scattato da Bradley Cooper durante gli Oscar 2014, si è rivelato un’abilissima, e costosissima, mossa da parte della Samsung per farsi dell’ottima pubblicità, passando quasi inosservata. L’obiettivo delle nuove forme di comunicazione è proprio questo: raggiungere gli utenti nel modo meno evidente possibile, umanizzando il proprio prodotto, rendendolo alla portata di tutti ed utilizzando dinamiche semplici e comprensibili dal più ampio pubblico possibile. Come si fa a riconoscere uno spot, se si inserisce talmente bene nei nostri riti quotidiani da non sconvolgere o interrompere affatto le nostre azioni ed interazioni? Ed utilizzare il selfie sembra davvero la mossa migliore: uno studio pubblicato dal Time ha rivelato la classifica delle “Selfiest Cities” del mondo, cioè delle città con il maggior numero di autoscatti pubblicati sui profili Instagram dei propri cittadini (anche se Selfiest fa subito venire in mente la traduzione “egocentrico”). La classifica non è ovviamente precisa, soprattutto se si tiene conto del fatto che moltissimi utenti non hanno un profilo IG o che, fra tutti i selfies scattati, potrebbero averne pubblicato uno solo, ma è interessante notare come ai primi posti ci siano città con risultati incredibili: prima su tutte è Makati, nelle Filippine, con ben 258 “selfie-takers” ogni 100mila abitanti, seguita da Manhattan (202 fotografi...