Giorgio Gaber: il compleanno del Signor G...

Se potessi cantare davvero canterei veramente per tutti, canterei le gioie ed i lutti e il mio canto sarebbe sincero. Ma se canto così io non piaccio, devo fare per forza il pagliaccio. (da Suona chitarra, n. 1) Se siete andati su Google stamattina non vi sarà certo sfuggito il doodle che la piattaforma ha deciso di dedicare al compleanno di Giorgio Gaber: il “Signor G” – così era soprannominato – avrebbe, infatti, compiuto oggi 83 anni. Anche noi vogliamo celebrare la vita e il genio di questo artista italiano, ripercorrendo in particolare i primi passi della sua carriera, fra curiosità e collaborazioni eccellenti. Il 25 gennaio del ’39 nasceva Giorgio Gaberscik Figlio di un impiegato e una casalinga della media borghesia, Giorgio Gaber nasce a Milano nel gennaio del ’39, fratello minore di Marcello, un’influenza fondamentale nella vita del futuro cantautore. Cagionevole di salute, viene colpito due volte dalla poliomelite: la prima volta ha solo 8/9 anni e la malattia gli porta una leggera paralisi delle mano sinistra. Il fratello maggiore suona già la chitarra per diletto, così il padre ne regala una anche a lui, sperando che con un po’ di esercizio il figlio possa riprendere completamente la manualità. Come è facile intuire, da quel momento la chitarra non sarà per Gaber solo uno strumento per il recupero fisico: diventerà una compagna inseparabile, lo strumento della vita. Fin dall’adolescenza – e ispirandosi ai più famosi chitarristi jazz dell’epoca – Giorgio Gaber comincia a suonare con alcune band: a soli 17 anni fa parte del gruppo di Adriano Celentano “Rocky Boys”, che vede al pianoforte un giovanissimo Jannacci. I due stringono un rapporto di amicizia molto forte e, quando poco dopo Gaber conosce Tenco, i tre decidono di creare una nuova band, quella...

Espositori per negozi: a cosa servono e quanti ne esistono? Gen24

Espositori per negozi: a cosa servono e quanti ne esistono?...

Gli espositori per negozi fanno parte di quell’insieme di accessori che possono rendere la comunicazione con clienti e visitatori semplice e immediata, permettendo a ogni tipo di attività di dare luce ed enfatizzare messaggi particolarmente importanti. Erboristerie e farmacie li usano per presentare prodotti particolarmente efficaci o novità, librerie e negozi di abbigliamento li utilizzano per portare l’attenzione su offerte e sconti del periodo, ristoranti e bar per presentare menu e specialità del giorno, professionisti in fiera per proporre volantini e materiale informativo: questi supporti, leggeri e semplici da sistemare, valorizzano l’arredamento e attirano lo sguardo, coinvolgendo i possibili compratori senza “invadere” eccessivamente i loro spazi. Gli espositori per negozi si dividono principalmente in due categorie: espositori da banco espositori da terra Al primo gruppo appartengono supporti come porta biglietti da visita – fondamentali anche per studi medici e professionali – porta depliants, piccoli roll up, porta messaggi ed espositori a L; al secondo, invece, appartengono installazioni di maggiori dimensioni, come porta pannelli, roll up classici, totem mono o bifacciali, espositori a L maxi e anche innovazioni come i porta tablet, perfetti per proporre mini indagini di mercato tramite questionari generici (come quelli posti all’uscita di moltissimi negozi di grandi catene per misurare il gradimento dei clienti). I display da banco hanno una maggiore versatilità, perché – occupando meno spazio e pesando decisamente di meno – possono essere spostati anche “al volo” per occupare sempre l’angolo migliore: si possono sistemare su scrivanie e tavolini, librerie e cassettiere, senza sacrificare un’area troppo estesa. Nonostante le misure ridotte, questo tipo di espositori per negozi ha un forte impatto, non passa inosservato e – con le giuste grafiche – risulta anche divertente e perfetto per comunicare in modo forte l’identità della propria attività! I display da terra,...

Giochi da tavolo: quali sono i più amati?...

Nel periodo delle feste i giochi da tavolo tornano al loro splendore, scalando rapidamente le classifiche di vendita e diffondendosi fra grandi e piccini. Scatole antiche e polverose rivedono la luce dopo 12 mesi, alcune – invece – vengono impacchettate per diventare regali inaspettati: questo tipo di passatempo, infatti, è ideale per le famiglie e sembra trovare la sua dimensione soprattutto nelle lente giornate di festeggiamenti durante il periodo natalizio. In fondo, chi di noi non ha mai litigato per Parco della Vittoria il 24 dicembre? Chi non ha giurato vendetta dopo aver ricevuto un +4 proprio quando stava per vincere a Uno? Intere famiglie si sono scontrate cercando di capire la parola misteriosa a Pictionary, impegnandosi nella sfida con la passione di Picasso. Secondo Ibs.it, fra i giochi da tavolo più venduti nell’ultimo mese c’è un unico grande protagonista: Harry Potter. Il suo Trivial Pursuit, il suo Uno, persino il suo Cluedo si trovano alle vette delle classifiche e – supponiamo – sugli scaffali di tantissimi italiani. Resistono il Trivial Pursuit classico, Pictionary e Taboo, oltre ad alcuni titoli più recenti, come Dixit, Dobble, Nome in Codice e Taco Gatto Capra Cacio Pizza. Ma quali sono i giochi da tavolo più amati di sempre? Vediamo un piccolo elenco! Monopoly Il gioco di contrattazione per eccellenza, il titolo che riesce a mettere fratello contro fratello, genitore contro figlio: bastano pochi tiri di dado per far uscire non solo l’animo imprenditoriale di ognuno di noi, ma anche – e soprattutto – la voglia di vincere. Perché vincere, a Monopoly, significa essere esageratamente ricchi, anche se per finta! Quindi via a tasse e richieste di denaro, vili prestiti di banconote e pagamenti puntuali: chi riesce a rimanere freddo e distaccato, passando anche sopra la dolcezza della...

La misteriosa Baba Jaga e il folklore slavo...

Il termine Baba Jaga fa riferimento a un personaggio della mitologia slava che è diventato estremamente popolare in epoca contemporanea, grazie alle fiabe e – più recentemente – ad alcuni film (è, per esempio, il soprannome di John Wick nel famoso franchise). La Baba Jaga è un’anziana signora dalle fattezze quasi mostruose, dotata di poteri magici e di alcuni oggetti incantati: si potrebbe considerare come una specie di strega, anche se il suo ruolo non è sempre totalmente negativo. Pare, infatti, che in alcuni miti questo personaggio svolga un compito chiave nei momenti di emancipazione e iniziazione dei protagonisti! Quest’incantatrice è presente nei racconti russi, polacchi, slovacchi, cechi e bulgari, si trova fra le fiabe della Corinzia in Austria ed è un personaggio carnevalesco in Montenegro, ma resta uno spirito della notte in Serbia, Croazia e Bulgaria. Vediamo due esempi del folklore che più includono storie dedicate alla Baba Jaga. In Russia La Baba Jaga impersona nei racconti russi un’anziana strega, che vola su un mortaio usando il pestello come timone: la vecchia cancella i sentieri nei boschi con una scopa in betulla d’argento, a volte è cattiva e a volte dà consigli, per questo – in generale – sarebbe meglio non cercare il suo aiuto, a meno di possedere uno spirito assolutamente puro. La strega vive in una capanna sorretta da zampe di gallina, con un portone pieno di denti taglienti e i muri realizzati con ossa umane: in alcune leggende, la casa della Baba Jaga resta invisibile fino a quando non si pronunciano le parole magiche necessarie per scoprire il suo nascondiglio! Nella Leggenda dei Tre Cavalieri, la Baba Jaga parla dei protagonisti – il Cavaliere Bianco, il Cavaliere rosso e il Cavaliere Nero – a chi le fa domande e uccide...

L’Uomo di Taured: un mistero risolto Nov18

L’Uomo di Taured: un mistero risolto...

Una delle leggende urbane che si sono diffuse maggiormente grazie alla rete è sicuramente quella dell’Uomo di Taured. La storia, piena di intriganti misteri e un tocco di paranormale, ha iniziato però a circolare molto prima dell’avvento di internet, arrivando alla sua “forma finale” grazie a siti e forum dedicati: pare, però, che forse proprio grazie a internet, i nodi siano stati sciolti, arrivando a una spiegazione plausibile di questa intera avventura. Vediamola nel dettaglio! L’Uomo di Taured: la leggenda Secondo il mito, nel luglio del 1954, all’aeroporto Haneda di Tokyo, sarebbe arrivato un gentiluomo dai vestiti eleganti, i tratti caucasici e una folta barba. Passando dalla dogana, al controllo del passaporto, avrebbe dichiarato di essere un abitante di Taured giunto per la terza volta in Giappone. Nessuno degli agenti conosceva quel paese e, pur notando che fra le tante lingue parlate dall’uomo il francese sembrava essere la principale, non c’era alcun indizio per capire con precisione da dove fosse giunto quello strano viaggiatore, nonostante i documenti dall’apparenza valida. I doganieri gli presentarono, allora, un atlante del mondo, chiedendogli di indicare col dito l’ubicazione del suo stato di provenienza: senza dubbi, l’uomo indicò la zona del Principato di Andorra, stupendosi – però – che l’area si chiamasse in quel modo. Sospettato di essere una spia, e sicuramente circondato da un alone di mistero un po’ troppo preoccupante per le autorità, l’uomo venne trattenuto dagli agenti e messo per una notte in un albergo, in attesa di ulteriori verifiche. La stanza – con una sola porta di ingresso/uscita – si trovava al 15° piano ed era piantonata da due guardie che non persero mai di vista la camera: nonostante questo, la mattina dopo gli agenti trovarono la stanza completamente vuota. Bagagli, documenti e qualsiasi genere...

Speciale Halloween: i dodici vortici vili di Ivan Sanderson...

Negli anni ’70, il biologo scozzese Ivan Sanderson ipotizzò una teoria che ancora oggi è molto popolare e diffusa soprattutto fra gli amanti del mistero: si tratta della teoria dei Dodici Vortici Vili. Il nome, che è un filo teatrale e non troppo intuitivo, si riferirebbe a dodici diversi punti del globo terrestre “colpevoli” di far capitare svariate stranezze, fra cui sparizioni misteriose e anomalie magnetiche. Detto così, vi sarà sicuramente venuto in mente il Triangolo delle Bermuda: ecco, quest’area geografica non è che una delle dodici zone che è bene sorvolare o attraversare con un po’ di attenzione. Pare, infatti, che aerei e navi cadano vittime del potere dei dodici vortici vili, sparendo spesso nel nulla più assoluto! Da dove deriverebbe la pericolosità di queste aree? Secondo il biologo, sarebbe dovuta a campi magnetici alterati, capaci di disturbare le strumentazioni e impedire che i viaggi possano continuare correttamente. Passare da qui significa incappare in una forte confusione, alimentata dall’inaffidabilità improvvisa di tutte le tecnologie necessarie a navigare e sorvolare la Terra. I dodici vortici vili sono distribuiti in modo piuttosto ordinato: ci sono – come facile intuire – Polo Nord e Sud, accompagnati da cinque aree sul Tropico del Capricorno e cinque sul Tropico del Cancro. Sono, in ordine: l’Isola di Pasqua i Megaliti dello Zimbabwe l’Anomalia del Sud Atlantico il Bacino di Warthon la Fossa delle Nuove Ebridi nell’Oceano Pacifico il Triangolo delle Berbuda la Valle dell’Indus a Mohenjo Doru in Pakistan il Vulcano Hamakulia alle Hawaii i Megaliti dell’Algeria a sud di Timbuktu il Mare del Diavolo a sud del Giappone Alcune di queste aree hanno indubbiamente dei nomi evocativi e non è difficile trovare storie su aerei spariti dai radar o navi misteriosamente scomparse nei pressi di queste zone: è...

L’Ora del Diavolo: cosa succede alle 3:33? Set14

L’Ora del Diavolo: cosa succede alle 3:33?...

Come molti appassionati di soprannaturale sapranno, con il termine “Ora del Diavolo” si fa riferimento a un momento preciso della notte, durante il quale streghe, fantasmi e demoni acquistano più potere e compaiono agli occhi dei comuni mortali. L’orario che potremmo definire incriminato non è sempre lo stesso: c’è – infatti – chi ritiene che si debba parlare delle 3 del mattino, chi preferisce avvicinarsi alle 4, chi è affascinato dalla mezzanotte e chi, per tagliare la testa al toro e utilizzare un numero simbolico dal fortissimo sottotesto religioso, parla delle 3:33 spaccate. In effetti, secondo i Vangeli di Marco, Matteo e Luca, Gesù sarebbe morto all’ora nona, le moderne tre del pomeriggio: quale trucco migliore da parte del Diavolo se non ribaltare questo calcolo e prendere forza alle tre del mattino, in un certo senso sbeffeggiando anche il concetto di trinità? Inoltre, la notte ha un significato del tutto particolare, almeno per quanto riguarda la religione cristiana: Giuda tradì Gesù di notte e Pietro lo rinnegò prima che il gallo cantasse… insomma, quando il sole non c’è, si lascia spazio ad azioni e sentimenti turpi. Un altro possibile motivo che rende le 3:33 la perfetta Ora del Diavolo è che quel momento della notte si trova proprio nel mezzo: è abbastanza lontano dal tramonto e mancano ancora parecchie ore all’alba, anche quando le stagioni sono calde e la giornata inizia prima. Ci troviamo, insomma, nel buio più nero, in un’atmosfera che non può che farci pensare a creature inquietanti e scenari fuori da questo mondo. Quello dell’ora delle streghe non è un concetto poi troppo recente: se ne ha traccia già nel ‘500, quando la Chiesa proibiva ogni tipo di attività dalle 3 alle 4 del mattino, per timore di rituali e sortilegi...

Beauty Tips: consigli dal passato...

La rete è piena di influencer, blog e brand che propongono Beauty Tips più o meno interessanti e facili da replicare: dalla skincare coreana di cui abbiamo già parlato all’utilizzo di strumenti alternativi per il make up (ricordate i cucchiai appoggiati sotto lo zigomo per fare contouring?), fino a metodi per ottenere delle beach waves senza utilizzare una piastra (per esempio, dormire con i capelli attorcigliati alla cintura di un accappatoio). Alcuni consigli sono molto validi, altri… un po’ meno. L’abitudine a dare consigli e a prendere spunto dalle routine di chi magari è più esperto del settore non è – però – una cosa recente e sicuramente non nasce coi social: il passato è ricchissimo di tips tutti da scoprire. Vediamone qualcuno, magari ci convinceranno! Cleopatra era solita utilizzare oli molto ricchi e balsami naturali per prendersi cura della sua pelle: prodotti a base di olio di oliva, miele, zucchero, mandorle, lino, sesamo e argilla servivano alla sovrana per detergersi, idratarsi, depilarsi e… profumarsi! L’iconica regina amava – infatti – annunciare il suo arrivo con una nuvola profumata a base di rosa, incenso e mirra. La Principessa Sissi – Elisabetta di Baviera – era molto nota per alcune abitudini non proprio convenzionali: pare, infatti, che amasse concedersi bagni di almeno 30 minuti in acqua ghiacciata, immersioni nel latte di capra e massaggi rilassanti. Per quanto riguarda i suoi lunghissimi e iconici capelli, lo shampoo non era altro che un mix fra tuorli e cognac! Certo, raccontati in questo modo potrebbero farci storcere il naso, ma alcuni di questi rituali sono, in effetti, molto efficaci: oggi sappiamo che l’acqua fredda aiuta la circolazione e che l’uovo rende la chioma più forte e lucida. A proposito di uovo, pare che la Regina Elisabetta lo utilizzasse...

Gli step della skincare coreana Lug12

Gli step della skincare coreana...

Negli ultimi anni, il settore della cura della pelle (del viso e del corpo) ha attraversato un’ascesa incredibile, dovuta in particolare alla promozione che alcuni influencer hanno fatto della skincare coreana, nota per la sua complessità, ma anche per la sua efficacia. Questo sistema di prodotti e abitudini mattutine e serali ha un’origine che va in là in tempo e si configura come una ricetta di successo per chiunque voglia ottenere ottimi risultati, costanti nel tempo. Ma la skincare coreana è caratterizzata da tantissimi step! C’è chi dice 10, chi 11, chi ancora di più: solitamente, sono richiesti almeno 15 minuti di “lavoro” due volte al giorno, da effettuare con attenzione e seguendo un ordine stabilito di “layers“. I prodotti si applicano rigorosamente con le mani, senza il supporto di dischetti, cotton fioc o altri supporti, lavabili o meno. Vediamo insieme quali sono i passaggi fondamentali per ottenere una pelle di pesca! Olio detergente Il primo step prevede la rimozione di tutte le impurità e di buona parte del trucco dal viso con l’impiego di un detergente in olio, molto ricco e delicato. La pulizia avviene applicando il prodotto con un movimento circolare delle dita, fino a coprire interamente la pelle asciutta: dopo aver letteralmente “sciolto” tutto ciò che ci interessa eliminare, basta sciacquare il viso con acqua tiepida, senza l’uso di spugnette o panni in microfibra. Detergente in schiuma  La doppia detersione (famosissima ormai ovunque nel mondo) prevede un secondo passaggio da effettuare con un detergente schiumoso e delicato più tradizionale: è preferibile utilizzare formulazioni leggere e a base d’acqua, come tante mousse presenti oggi sul mercato. Il detergente ci aiuterà ad eliminare i residui oleosi, ma anche quelle impurità che l’olio non era riuscito a portare via. Esfoliante Un passaggio che va...

Euro 2020: tutti pazzi per l’Inno di Mameli...

I lettori un po’ più grandi si ricorderanno sicuramente le tante polemiche legate alla Nazionale Italiana di Calcio e il nostro Inno: negli anni ’90, non tantissimi anni fa dopo tutto, i calciatori venivano spesso criticati perché non sembravano partecipare con l’adeguato trasporto al momento pre-partita dedicato alla presentazione delle due squadre e delle rispettive nazioni. Alcuni non cantavano, altri sembravano annoiati, altri ancora riuscivano ad azzeccare una parola ogni tanto: insomma, in pochi eseguivano l’Inno correttamente. Da quel momento – dopo articoli di giornale, interviste e Tapiri – pare che la Nazionale abbia iniziato a dedicarsi un po’ di più a questa fase, studiando le parole del nostro Inno e raggiungendo pian piano un pathos equiparabile a quello della nazionale di rugby: oggi pare che tutti vadano pazzi per quei pochi secondi dedicati all’Inno di Mameli! E non sto parlando solo dei media italiani o dei tifosi azzurri: tantissime testate straniere e tantissimi appassionati di sport da tutto il mondo non possono fare a meno di sintonizzarsi sulle partite dell’Italia, anche solo per guardare il team cantare. Il nostro Inno è diventato il preferito da chi segue Euro 2020, le parole vengono tradotte e studiate, i calciatori osservati e imitati: alcuni sono diventati perfino dei meme, una vera e propria consacrazione in questa era digitale. Vediamo di seguito alcuni tweet dedicati proprio a questo fenomeno: Alcuni profili ufficiali – tipo ESPN e Bleacher Report – hanno iniziato una vera e propria rubrica sul momento “Inno di Mameli”. Il rovescio della medaglia? Alcuni follower hanno già iniziato a stancarsi del trend, accusando le pagine di tirarla un po’ troppo per le lunghe. Voi cosa ne pensate? Siete già un po’ stanchi di questa moda o amerete per sempre questa partecipazione...

Post Mortem: cosa vuoi diventare dopo la morte?...

“Ricordati che devi morire!” Se fossi stata un frate di Frittole – nel ‘400, quasi milleccinque – avrei potuto intitolare questo articolo proprio così: ricordati che devi morire. E sicuramente avrei ottenuto in risposta un “Si si, mo me lo segno!”. Inutile negarlo, questa tematica provoca sempre un po’ di disagio. La morte fa parte del nostro percorso, ne è la misteriosa conclusione e – proprio perché non ne conosciamo le dinamiche e non siamo sicuri di cosa ci sia dopo (lasciando i vari credi religiosi e le interpretazioni spirituali da una parte) – preferiamo sempre evitare di pensarci. La viviamo con ansia, facciamo finta che non esista, inventiamo gesti scaramantici e rituali per cercare di non averci mai a che fare troppo da vicino. Questo atteggiamento è assolutamente plausibile: non sono qui per dire cosa sia giusto o sbagliato o per suggerire di parlare di morte ogni giorno! Anche perché diciamocelo: ricordarci che dovremo morire – parafrasando Non ci resta che piangere – serve sicuramente a spronarci a inseguire i nostri sogni, ma – d’altra parte – può anche gettare un po’ nello sconforto. Eppure, forse, ogni tanto, potremmo doverci pensare. Per esempio, hai deciso cosa vuoi diventare dopo la morte? La domanda è da pazzi, lo so, e la risposta più immediata potrebbe essere un bel “e che mi importa, tanto non ci sono!”. Eppure, un po’ per caso, mi sono imbattuta in questi giorni in diversi tweet e articoli che parlano proprio del post mortem, in una sorta di strano allineamento di pianeti. E ho iniziato a pensarci: io cosa vorrei essere? Abbandonando le alternative più “classiche” (e fa un po’ ridere parlarne così, come del taglio di un abito da sera o di una acconciatura particolare), le possibilità sono davvero...

L’incredibile ascesa del rosa nel mondo della moda 2021...

Sarà saltato agli occhi di quasi tutti: il rosa è tornato alla ribalta, occupando fieramente le vetrine del nostro paese. Se negli scorsi mesi, infatti, c’è stato un pullulare di accessori e capi di abbigliamento color lilla, da qualche settimana questa tonalità sembra aver lasciato il passo a sfumature più chiare e vibranti. Sono complici anche molte stelle dello spettacolo. Pensate anche solo alla performance stellare di Dua Lipa agli scorsi Grammy Awards: La cantante ha sfoggiato una serie di look sui toni del rosa, passando dalle tonalità pastello più pallide, a versioni bubblegum e fucsia (il tutto tempestato di brillanti e paillettes!). Altri si sono accorti di questo lento e inesorabile ritorno: Pantone ha dedicato sui suoi social più di un post a questo colore e tanti magazine di moda hanno iniziato a elencare tutte le star che indossano volentieri questa tonalità. La già citata Dua Lipa è una grande affezionata del rosa (lo porta anche nella cover del suo album), ma fra i fan di queste sfumature ci sono anche Nicki Minaj, Hailey Bieber e perfino Britney Spears, che ha deciso di concedersi una tinta per capelli pescata in vista dell’estate. Il successo del rosa Il successo del rosa è ciclico: questo colore – infatti – non scompare mai dai radar, ma ha fortuna altalenante. Se in alcuni momenti storici è stato usato commercialmente solo per prodotti pensati per bambine e future mamme, in altri frangenti ha letteralmente dettato legge, arrivando un po’ dappertutto. Scarpe, calzini, pantaloni, camicie, top, accessori per capelli, gioielli, borse, cover per telefoni… il 2021 sembra proprio aver lasciato massimo campo d’azione a questo colore! Ma come mai è così amato? Come potrete approfondire in post dedicati al significato dei colori, il rosa è legato a un’idea di ottimismo...

App di incontri: i pro e i contro Mar24

App di incontri: i pro e i contro...

Le app di incontri sono diventante, in meno di dieci anni, estremamente popolari: da poche migliaia di iscritti ai primissimi servizi disponibili, si è passati a svariati milioni di utenti sparsi fra un numero sempre più alto di siti e piattaforme dalle regole sempre più complesse. Non c’è solo Tinder, anche se è sicuramente fra i più popolari. Le app a disposizione di utenti di tutte le età sono, oggi, così tante che è difficile rimanere al passo con i nuovi lanci e gli aggiornamenti: c’è Happn, che propone una certa precisione nella geolocalizzazione di uomini o donne potenzialmente interessanti, Once, che usa matchmaker in carne ed ossa e propone ogni giorno un solo profilo in esclusiva (ritenuto ideale per le nostre caratteristiche), Bumble, che lascia l’iniziativa alle donne, OK Cupid, che richiede la compilazione di un lungo questionario per scoprire gusti e preferenze, Lovoo, che propone residenti in zona, Badoo, con dinamiche simili a Tinder e un pubblico anche di giovanissimi, Meetic, che si rivolge a un’utenza dalla media di età leggermente più alta (dai 30 anni in su) e The Inner Circle, che si riserva il diritto di analizzare i profili di chi desidera aderire prima di renderli disponibili agli altri iscritti. Infine, fra gli ultimi arrivati anche Facebook Dating, che propone un servizio molto simile a tutti i precedenti, aggiungendo un elemento importante per la sicurezza: su Facebook è più facile verificare l’identità della persona con cui si sta chattando. Tutte le app elencate – e le altre decine che non compaiono in elenco per motivi di spazio – sono generalmente gratuite, almeno al momento dell’iscrizione: quasi ognuna di loro, però, propone un qualche tipo di abbonamento sempre più vantaggioso, con determinati servizi (compresa la possibilità di mandare messaggi) a pagamento....

Presidenti USA: la maledizione dell’anno zero...

L’elezione di Joe Biden a 46esimo Presidente degli Stati Uniti è stata accolta – pur con diverse proteste, anche molto violente, sul suolo americano – con un generale sospiro di sollievo: i più vedono in questo cambio di rotta l’inizio di un nuovo capitolo, una trasformazione necessaria dopo quattro anni quanto meno controversi. Qualcuno, però, non ha resistito a indagare l’aspetto più misterioso della questione, tirando fuori una vecchia – vecchissima – leggenda riguardante la presunta “maledizione dell’anno zero”. Di cosa si tratta? La maledizione dei nativi americani A quanto pare, all’inizio dell’Ottocento, un Capo Indiano Shawnee chiamato Tecumseh avrebbe lanciato un anatema sui presidenti americani, condannandoli alla morte prima della fine del mandato. Dall’inizio della maledizione, però, a patire le conseguenze più violente di questa vendetta sarebbero stati solo quattro uomini, tutti casualmente eletti in un anno che terminava con lo zero: Abraham Lincoln, James Garfield, William McKinley e John F. Kennedy. Abraham Lincoln venne eletto nel 1860 e venne ucciso a teatro il 14 aprile del 1865, al termine della Guerra di Secessione: a colpirlo fu John Wilkes Booth, un sudista che intendeva vendicare la sua terra. Le conseguenze dell’assassinio furono molto gravi: il repubblicano Lincoln aveva, infatti, scelto come vice Andrew Johnson, un democratico. Questa decisione così particolare era stata presa per promuovere un’idea di collaborazione e distensione: quando, però, Johnson si trovò ad occupare la posizione di Presidente USA, si trovò anche a dover contrastare un Congresso ostile, per lo più in mano ai Repubblicani. Il contrasto di trasformò in impeachment nel 1868. James Garfield restò Presidente per pochissimi mesi: eletto nel 1880, iniziò il suo primo mandato nel marzo del 1881, ma venne aggredito nel luglio dello stesso anno. Colpito in stazione da un avvocato disoccupato – Charles J....

Vicolo Bagnera: la strada più misteriosa di Milano...

Vicolo Bagnera – la via più stretta di Milano – è un passaggio piccolo e lugubre, oggi popolato da graffiti, murales e scritte irriverenti: situato nei pressi di Via Torino, la sua sola apparenza basterebbe ad eleggerlo a set ideale per un thriller o un giallo, ma la sua storia – che affonda le radici nell’800 – rende ancor più difficile passare per questa viuzza senza provare un po’ di disagio. La “Stretta” Bagnera è – infatti – teatro degli omicidi di uno dei primi serial killer della nostra storia: Antonio Boggia, il Mostro di Milano. Antonio Boggia: la storia Di Antonio Boggia e della sua vita tormentata si conoscono diversi dettagli: l’uomo sarebbe nato a fine ‘700 a Urio (in provincia di Como) e sarebbe entrato in conflitto con la giustizia già intorno ai vent’anni. All’epoca, quello che era ancora un ragazzo cominciò a farsi conoscere dalle autorità per piccole truffe e cambiali non onorate, tentando di sfuggire alle conseguenze delle sue azioni con vari trasferimenti: si spostò prima nel Regno di Sardegna, dove venne accusato di tentato omicidio a seguito di una rissa, per poi tornare nel Lombardo Veneto, con la speranza di poter ricominciare da capo. Qui, a Milano, riuscì a ottenere un impiego come fochista, grazie anche alla sua conoscenza della lingua tedesca, e a sposarsi: nel 1831, l’uomo si trasferì in Via Nerino, in un palazzo di proprietà di Ester Maria Perrocchio. Vicolo Bagnera e Via Nerino sono strade perpendicolari. La scia di omicidi di Antonio Boggia cominciò ufficialmente nel 1846: la prima vittima fu Angelo Ribbone, derubato, ucciso e nascosto nello scantinato di Via Bagnera; quindici anni dopo circa, a contattatare i Carabinieri fu il figlio dell’allora 76enne Ester Perrocchio. Le autorità scoprirono non solo che non c’era...

Qualche curiosità sul Presidente degli Stati Uniti d’America...

In questi giorni si fa un gran parlare di elezioni e presidenti, di candidati e di campagne elettorali, di brogli e di fake news: il Presidente degli Stati Uniti d’America è sempre circondato da una quantità impressionante di notizie e curiosità. Fin da Washington, questa figura è stata seguita e analizzata, criticata o trasformata in un’icona, alimentando leggende urbane e storie anche divertenti. Vediamo, allora, qualche curiosità riguardante chi negli anni ha ricoperto questa prestigiosa carica! 1 – Pare che George Washington abbia sofferto per tutta la vita di gravi problemi relativi a denti e cure odontoiatriche: i primi documenti che attestano le sue visite dal dentista risalgono a quando il giovane politico aveva solo 24 anni e sembra che al momento della sua elezione – 30 anni dopo – fosse riuscito a conservare un solo dente. Da qui, l’uso di una dentiera piuttosto ingombrante, che a quanto pare sarebbe “causa” della sua icona espressione un po’ allungata, visibile in tutti i ritratti più famosi. Di cos’era fatta questa dentiera? Alcuni dicono di legno, altri parlano di oro, avorio, piombo e… denti animali! 2 – Il Presidente degli Stati Uniti d’America riceve in media 500 minacce di morte al mese. Un bel grattacapo per chiunque, ma forse un po’ meno per Andrew Jackson, passato alla storia per il suo carattere “fumantino”. Jackson – orfano a 14 anni, costretto per un periodo a vivere in strada e poi sfregiato al volto durante la Rivoluzione – mantenne per tutta la sua esistenza un’indole piuttosto litigiosa e aggressiva. Pare che in vita sia stato coinvolto in oltre 100 duelli, uno dei quali terminato con la morte dell’avversario: il suo caratteraccio avrebbe influenzato anche il suo pappagallo da compagnia, famosissimo per le numerose bestemmie (anche durante il funerale...

Consigli fighi per fare cose in casa (ed evitare assembramenti) Set25

Consigli fighi per fare cose in casa (ed evitare assembramenti)...

Eccoci qui. L’estate è finita, gli amici se ne sono andati, le piogge sono iniziate e l’autunno si prepara a dare il meglio di sé, con un meteo quanto meno isterico. Il Covid-19 è rimasto a farci compagnia – una compagnia di cui faremmo volentierissimo a meno – e con l’avvicinarsi delle basse temperature e lo spauracchio di influenze, raffreddori, febbricole e nasi colanti, l’ansia sta ricominciando a salire. C’è chi la vive serenamente e con un po’ di fatalismo (“eh se deve succedere succede, non possiamo farci niente eh”) e chi, invece, non riesce a darsi pace, affrontando la situazione con livelli di panico in ascesa continua. Per non sbagliare, anche in assenza di un lockdown, quello che possiamo fare è cercare di rimanere il più possibile a casa, evitando gli assembramenti. La stagione invernale sicuramente ci darà una mano in questo senso (onestamente, chi ha voglia di gelarsi il fondoschiena quando è sempre disponibile l’alternativa divano+copertina?), spingendoci a passare un po’ più di tempo fra le comodità delle nostre cose. Attenzione! Questo non significa privarsi di esperienze e momenti di svago: bisogna fare tutto “con la testa”, però, indossando la mascherina e prendendo tutte le precauzioni necessarie. “Si ma nel frattempo quando siamo a casa che possiamo fare?” chiederà qualcuno. Mi metto a fare il pane come a marzo? Organizzo una serata su Zoom? Imparo il russo su Youtube? Ecco, magari no. Approfittiamo dei mesi freddi per fare cose nuove, oppure cose vecchie ma con un nuovo spirito. Vediamo 3 consigli fighissimi! 1 – Leggere libri. E qui parte la ola: EEEEEEEEH NON CI AVEVAMO PENSATOOOO! Un attimo, però. Non vi limitate a razziare la libreria sotto casa o svuotare Amazon, costringendo il corriere a sedute di sollevamento pesi che sicuramente non...

Lo strano caso del nuovo Mulan Set07

Lo strano caso del nuovo Mulan...

Per i bimbi e gli adolescenti degli anni ’90, Mulan è uno dei grandi classici Disney, ricordato non solo per l’epicità della trama, ma anche per i tanti spunti comici e i personaggi iconici facilissimi da quotare anche a distanza di quasi 22 anni. Non so voi, ma a me capita ancora di recitare drammaticamente un bel “disonore su di te, disonore sulla tua mucca” quando qualcuno mi fa un piccolo torto (dall’amico che tira un pacco, all’automobilista che decide di cambiare corsia senza mettere la freccia). Senza parlare, poi, delle canzoni, che sono forse fra le migliori di tutta la produzione. Ecco, il nuovo Mulan non ha quasi nulla di tutto ciò. Chi lo ha visto – e per vicissitudini che vedremo a breve non è che il pubblico sia così vasto – si è trovato davanti un live-action un po’ stanco, senza musica, con poca epicità e – soprattutto – senza Mushu, il draghetto amico della protagonista che ai bei tempi era doppiato da un insospettabile Enrico Papi (per altro, bravo bravissimo nel ruolo). Il film del 2020 sembra un po’ un visto e rivisto, che ha il grande merito di non eccedere con la CGI (e di fare un ottimo lavoro di grafica sui titoli di coda), ma che allo stesso tempo non aggiunge nulla alla versione cartoon: la trama è più o meno sempre la stessa – con molto più che un accenno alla politica di genere e diversi simbolismi chiarissimi legati alla figura femminile – ma manca un po’ di gioia, un po’ della classica magia Disney. È un film Marvel, questo sì, ma di fatato e irresistibile ha poco. Già questo basterebbe a mettere in guardia chi ha aspettato mesi e mesi per poterlo vedere. Ma ora passiamo...

Peter Bergmann: il mistero dell’uomo senza identità Set04

Peter Bergmann: il mistero dell’uomo senza identità...

Nel 2009, la cittadina di Sligo – centro costiero poco distante dal confine con l’Irlanda del Nord – venne sconvolta da un caso tragico e misterioso: la morte di Peter Bergmann.  L’uomo – un signore all’apparenza anziano, con i capelli grigi e, secondo i testimoni, l’aspetto emaciato – venne ritrovato privo di vita sulla spiaggia di Rosses Point la mattina del 15 giugno. Ma quella che, raccontata così, potrebbe sembrare la fine tragica di una storia è diventata – invece – il suo oscuro inizio. Perché Peter Bergmann non esiste e ancora oggi, a 11 anni dalla morte, nessuno sa di chi sia il corpo restituito dal mare quella mattina di fine primavera.   Torniamo indietro e raccontiamo quei pochi fatti di cui vi è certezza. Peter Bergman sarebbe partito da Derry – in Irlanda del Nord – tre giorni prima della sua morte, arrivando a Sligo in bus subito prima del fine settimana. Giunto in stazione alle 18:28, ancora in pieno giorno, avrebbe preso un taxi per il centro con l’intenzione di cercare una camera in un hotel.  Questo dettaglio non è sfuggito agli appassionati di crime: stazione e centro sono vicinissimi, si tratta di una passeggiata di circa 10 minuti. Bergmann non conosceva la città, altrimenti avrebbe saputo che non era necessario pagare un passaggio in auto. Il primo hotel era pieno (si trattava comunque dell’inizio della stagione estiva), ma al secondo – lo Sligo City Hotel su Quay Street – ebbe più fortuna: Bergmann, vestito di scuro e con due buste di plastica al braccio, pagò in anticipo tre notti. I giorni successivi, il misterioso turista avrebbe svolto solo poche attività, molto precise e mirate: sarebbe andato alla posta per acquistare 8 francobolli, avrebbe inviato corrispondenza mai rintracciata e avrebbe svuotato...

La leggenda urbana legata a Giovanni Bragolin Ago19

La leggenda urbana legata a Giovanni Bragolin...

Giovanni Bragolin, pseudonimo di Bruno Amadio, è stato un pittore veneziano attivo nel corso del Novecento: nato nel 1911 e morto nel 1981, divenne piuttosto popolare grazie ai soggetti dei suoi quadri e – poi – grazie alla leggenda urbana che cominciò a essere loro legata a partire dalla metà degli anni ’80 (Bragolin non ebbe, quindi, mai modo di difendersi dalle varie accuse lanciate in quel periodo). Della sua vita si sa davvero poco: è certo fosse un docente dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, è certo che il successo non arrivò immediatamente, è certo che la sua serie di 27 quadri raffiguranti bimbi piangenti sia la sua produzione più apprezzata e diffusa, è certo che viaggiò molto, che visse in Spagna e che morì per una brutta malattia all’esofago. Per il resto, dal periodo della guerra all’attività post bellica, passando per i suoi impegni professionali, non si hanno ulteriori informazioni. Uno degli elementi più interessanti legati a questo artista è – purtroppo – la serie di misteri, dicerie e leggende che iniziarono a circolare dopo la sua morte, in particolare nel Regno Unito. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta. I bimbi piangenti di Giovanni Bragolin Come abbiamo anticipato, le opere di maggiore successo di questo pittore raffigurano alcuni bambini piangenti: i soggetti sono tristi, desolati, caratterizzati da grandi lacrime sul viso e da una espressione con cui è impossibile non empatizzare. Sembrano soli, abbandonati, sofferenti: i quadri sono sicuramente belli dal punto di vista tecnico, ma sono anche molto forti e generano sensazioni contrastanti in chi li guarda. Secondo chi ha vissuto vicino a Bragolin, l’artista non amava particolarmente questo filone: l’ambientazione e i soggetti – però – vendevano bene e l’uomo continuò a realizzare nuovi pezzi per rivenderli in tutto...